La recente emergenza COVID 19 ha evidenziato come il Servizio Sanitario Nazionale possa essere messo a dura prova in caso di gravi eventi sanitari, specie se pandemici, con il concreto rischio di incappare nella saturazione delle proprie capacità di risposta. Farmaci, personale medico e posti letto: nell’incubo del coronavirus si rivelano le drammatiche carenze di un’Italia fragile di fronte alle calamità naturali degli ultimi anni, che tanto sono costate in termini di vite umane e danni.
I numeri purtroppo non sono dalla nostra parte: abbiamo a disposizione 3 posti letto ogni 1000 abitanti (fonte Quotidiano sanità), quando la media europea è di 5 su 1000. Senza dimenticare i tagli recenti, circa 70mila posti letto in dieci anni, che confermano sì l’eccellenza di un sistema che garantisce a tutti cura e assistenza e per la preparazione di medici e infermieri, ma anche le falle della sua gestione.
Proprio per cercare di risolvere la carenza di posti letto, la disponibilità di un assetto sanitario di livello strategico e di pronto dispiegamento (leggi nave ospedale) costituirebbe un’efficace misura risolutiva, da riposizionare dove ritenuto necessario lungo gli 8.000 chilometri di costa italiana: difatti il nostro Paese non dispone di un assetto sanitario ri-dislocabile con tali caratteristiche e, per far fronte all’emergenza, sono state perseguite molteplici soluzioni “mitigatrici”, fra cui ospedali da campo e la trasformazione di navi commerciali, quale il Traghetto Grandi Navi Veloci Splendid ormeggiato nel porto di Genova.
I tempi sono quindi maturi per avviare una seria riflessione sull’opportunità di dotarsi di una nave ospedale - come peraltro accaduto in passato – che possa assicurare un adeguato tasso di versatilità e flessibilità d’impiego tale da assolvere, accanto alle missioni prettamente militari, quei servizi di supporto sanitario a favore della popolazione civile in caso di situazioni particolarmente complesse sul suolo nazionale così come all’estero.
In questo senso sarebbe espressione di una nazione moderna e civile la disponibilità di una nave ospedale al servizio del Paese nel suo complesso, gestita dalla Marina Militare, dotata di un’ampia componente sanitaria, e il cui personale militare delle Forze Armate fosse affiancato dalle risorse fornite, in ambito civile, dalla Croce Rossa Italiana, dalla Protezione Civile e da organizzazioni non governative e di volontariato.
Capitalizziamo quanto il COVID-19 ci sta insegnando: tra le lezioni, pare valida proprio quella di disporre di un “ospedale galleggiante”, pregiato e abilitante, che, oltre a conferire un rilievo internazionale all’Italia, possa fornire al Sistema-Paese un assetto sanitario in grado di svolgere un ruolo determinante non solo nelle emergenze, ma anche nella normale routine di tutti i giorni, a tutela del diritto alla salute del popolo italiano, per portare soccorsi in alto mare e aiuti “over the horizon”.
E chissà, magari sarebbe la volta buona di dedicare finalmente la nuova unità navale a una donna. La proposta di chi scrive: Cristina di Belgioioso, eroina del Risorgimento che durante il cruentissimo assedio francese di Roma, su incarico di Mazzini, prese in mano la direzione degli ospedali della città riuscendo a far brillantemente funzionare dodici lazzaretti strapieni di militari feriti; ad aiutarla aveva chiamato a raccolta, in qualità di volontarie, signore e signorine romane che accorsero in gran numero, insieme contesse, portinaie, panettiere, casalinghe, operaie, madri di famiglia e prostitute.
In foto, la nave ospedale italiana “Gradisca”, in servizio nella seconda guerra mondiale, che intervenne in soccorso dei naufraghi della notte di Matapan; a causa della bassa velocità esprimibile, quando arrivò in zona riuscì a trarre in salvo solo pochi uomini (circa 160).