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Una città e due crimini

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

31
MAG
2013
Una città, due mari e due orrendi crimini. Devo chiedere scusa ai tarantini se mi permetto di affondare il coltello in una ferita che sta uccidendo la loro città ed offende l’intero Paese, ma trovo immorale tacere a seguito degli sviluppi giudiziari della vicenda ILVA. A partire dal 1961, anno di nascita dell’allora Italsider, e per più di cinquanta anni quasi in un crescendo rossiniano, si è perpetrato il primo crimine nei confronti della salute dei cittadini, là dove la connivenza di poteri politici e finanziari criminogeni ha consentito la sistematica distruzione dell’ecosistema e del patrimonio ambientale della città ionica. Nello stesso cinquantennio, per contraltare e pagando un prezzo comunque altissimo, il più imponente complesso siderurgico europeo ha consentito ad una città ed a decine di migliaia di suoi cittadini di mantenere un tenore di vita, se non altro economico, dignitoso a confronto di un desolante quadro di sottosviluppo in cui è stato colpevolmente abbandonato metà del Paese. In questi mesi, ed in questi giorni, si sta consumando il secondo crimine nei confronti dei cittadini là dove un pugno di magistrati, animati dal sacro fuoco dell’integralismo giudiziario, sta portando alla chiusura definitiva dell’imponente impianto, con tutte le drammatiche conseguenze occupazionali che questo epilogo rappresenta. Chi tra voi ha la pazienza di leggere la mia rubrica sa bene quanto alta sia la mia considerazione nei confronti della istituzione della Magistratura e quanto parimenti infima sia la mia considerazione nei confronti del “modus operandi” di certi magistrati. Pur essendo certo che la Procura di Taranto stia operando legittimamente nel solco delle leggi, è del tutto evidente che questa linea giudiziaria ha sbocchi obbligati e drammatici: chiusura definitiva degli impianti, possibile trasferimento della produzione, da parte della proprietà, in paesi più “permissivi”, morte economica di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie e, ciliegina sulla torta, un territorio enorme inquinato che continuerà ad inquinare per decenni perché nessuno avrà la volontà politica e la forza economica per poterla bonificare. L’intervento chirurgico e perfettamente riuscito, il paziente è morto!
Ma, al di là delle gravissime inadempienze dell’Azienda e delle perplessità sulla efficacia dell’azione giudiziaria, è assolutamente preminente la responsabilità dello Stato che ha brillato, e continua a brillare, per la sua assenza e per l’incapacità nell’assumere decisioni autorevoli e risolutive in grado di conciliare il diritto alla salute con il diritto al lavoro dei cittadini. In questo senso il caso ILVA dovrebbe essere l’occasione, seppure tardiva, per regolamentare una questione che a livello nazionale è diventata patologicamente endemica. Sono convinto che i reati ambientali, atroci perché commessi contro l’intera comunità nazionale e contro le future generazioni, dovrebbero essere assimilati ai reati di mafia e, come tali, trattati all’interno della legislazione speciale vigente per combattere le associazioni a delinquere di stampo mafioso. Al di là delle pene restrittive per gli autori del reato, dovrebbe essere imposta per legge la realizzazione delle opere di bonifica a carico della proprietà entro i limiti temporali stabiliti dalle autorità ambientali competenti. Qualora la proprietà non fosse in grado o non volesse assumere l’onere della bonifica, l’azienda dovrebbe essere confiscata e rientrare nei beni dello Stato che dovrebbe provvedere in proprio alla bonifica. In questa situazione l’azienda continuerebbe a produrre autofinanziando i costi della bonifica e garantendo continuità lavorativa alle maestranze. Al termine dell’intervento, ed a costi ammortizzati, lo Stato avrebbe due possibili opzioni: potrebbe decidere di perfezionare la statalizzazione “de facto” dell’azienda, oppure ricollocare sul mercato una struttura produttiva rigenerata il cui valore sarebbe notevolmente aumentato. Non trascurabile infine l’effetto deterrente nei confronti di imprenditori ambientalmente privi di scrupoli. Qualcuno ha detto che i sogni finiscono all’alba e in verità temo che questo Paese abbia smesso di sognare da troppo tempo. Taranto e l’Italia però meritano di ritornare a sognare.
 
 


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