Amministrative: se tutti i commentatori da tastiera fossero andati a votare avremmo saltato i ballottaggi con percentuali decisamente meno omeopatiche rispetto alla realtà. Detto questo, saluto quella ristretta fetta di umanità che mi legge dopo il silenzio elettorale, autoimpostomi per non praticare il pericolosissimo sport di approfittare di un ruolo per forza di cose pubblico per manifestazioni di debordante personalità.
Queste pagine hanno lastricato il percorso delle ultime settimane con opinioni assolutamente bipartisan, anche - con grande divertimento della redazione - diametralmente opposte, seguendo il doppio binario delle elezioni tarantine e martinesi. E quello che più balza agli occhi - senza scendere troppo nel particolare - è il tentativo per niente celato da parte di taluni candidati di far valere la ricerca di consenso popolare piuttosto che occuparsi realmente delle istanze dei cittadini. A Taranto si è capita una grande verità: non premiano nè lo stile, nè la preparazione, nè la progettualità. Altre sono le dinamiche che governano il voto, ma questo riguarda le drammaticità di questa città dove più che il dolore potè il digiuno e quindi - è proprio il caso di dirlo - si preferisce parlare alla pancia degli elettori. Nulla di più sbagliato.
A Martina invece, terra di teste fin troppo concrete, è mancata in certe candidature la capacità di empatia con i cittadini e i loro problemi: vuoi il marketing elettorale un po' troppo patinato che voleva stupire con effetti speciali, vuoi la mancanza di carisma e sintomatico mistero, per dirla alla Battiato, e alla fine patatrac.
In entrambe le città è dispiaciuta la reazione a caldo di coloro che da aspiranti sindaco saranno di fatto relegati all'opposizione. In sostanza, al netto delle parole pronunciate con rabbia sulle quali si può - ma anche no - sorvolare, la tesi espressa è la seguente: "Non mi avete voluto come sindaco? Ebbene, l'opposizione non la voglio fare. Arrangiatevi". Santa pazienza. E il decantato amore, ma che dico, addirittura passione per la città? La città non è bella bellissima solo quando c'è da indossare la fascia. È bella anche quando c'è da rimboccarsi le maniche per preparare una sana opposizione. I cittadini non sono solo portatori di voti, ma una collettività da cui necessariamente arrivano consensi e anche legittime diverse posizioni.
In tutto questo - se già avete smesso di leggermi perchè questo editoriale è più lungo di certi rotoloni da cucina - permettemi di segnalare la mancanza più grave: quella del savoir faire, dell'educazione, della gentilezza dei modi, del garbo, chiamatela come volete. Tanto mi avete capita.