Il problema del triste primato dei suicidi a Martina: un approccio antropologico, fenomenologico, sociale e strutturale. Si può invertire la tendenza?
Se dovessimo fare un paragone, potremmo dire che la persona assomiglia a un palazzo a più piani coincidenti con le tappe più salienti della propria vita. Qui a Martina negli anni ‘60 e ‘70 c’è stato il boom e la vertiginosa crescita del tessuto urbano non solo in orizzontale ma anche in verticale, toccando punte di 5, 6, in taluni casi 7 (magari scavando la nostra splendida “cutizza”) piani, per ricavare il massimo utile dalla “pianta” che il contadino con la scarpa grossa vendeva all’imprenditore di turno.
E così sono nati i nostri quartieri simbolo, grazie anche all’allora provvida funzione e presenza del vicino siderurgico (che si chiamava Italsider), che consentiva a tanti ex contadini, a prezzi molto convenienti, (a quell’epoca un milione di lire aveva il suo peso…), l’acquisto di immobili che al giorno d’oggi avrebbero bisogno di un paio di mutui per essere comprati, lasciando da parte le spese del notaio.
Così va la vita. Le pietre sono lì a testimoniare la nostra storia, ma ci giudicano e ci condannano guardandoci mute nella loro continua e periodica necessità di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Poi avevamo anche le confezioni o botteghe, palestra indiscussa di gran parte della nostra popolazione femminile, a cui non siamo stati capaci di dedicare altro che un misero rondò.
Riassumendo, tra siderurgico e confezioni non ci potevamo lamentare; poi è arrivata la globalizzazione dei mercati e la privatizzazione delle rendite nelle mani di pochi e occulti soggetti transnazionali.
Qui da noi, per fortuna, due o tre, si sono immessi, tra mille difficoltà, in questo difficile percorso, ma anche questo non è riuscito a tamponare gli esiti della difficile situazione economica.
L’ascensore sociale è diventato sempre più stretto e lento. Tornando al paragone iniziale, se la struttura su cui poggia il palazzo è la roccia dell’economia, anche quello poi ne risente e subisce profonde crepe, se quella comincia a traballare.
Poi ci sono le relazioni interpersonali, la cultura e le varie rivoluzioni e il ruolo della Chiesa che nonostante i suoi richiami e tentativi di dialogo è stata spesso ignorata venendo relegata a roba da medioevo. Meglio lodare le magnifiche sorti e progressive, col risultato che ci siamo svuotati dal di dentro guardando solo all’apparenza, inseguendo l’ultimo ritrovato tecnologico di grido. La crisi corre sui tablet e sugli smartphone di ultima generazione…..
Il risultato è che siamo diventati tutti più freddi, chiusi, egoisti invidiosi l’uno dell’altro: quello sì, io no; prima ci potevamo permettere questo e quello, ora “dobbiamo fingere” il precedente tenore di vita. Questa strategia della finzione alla lunga logora il rapporto con il proprio io e con gli altri creando un cortocircuito che nei casi più gravi va a sfociare nel gesto estremo, tragico j’accuse e impotente richiesta di aiuto.
Siamo tutti colpevoli per quanti non reggono fino in fondo il peso dell’esistenza appesa il più delle volte all’amaro filo dell’indifferenza e della solitudine. Le due cause principali dell’argomento in oggetto.