Cercavo da molto tempo l’occasione per farlo e voilà, gli argomenti di oggi sono l’orto e l’ortografia. Trattasi di personali fissazioni, stagionale la prima, perenne la seconda, entrambe contenenti nel loro impianto semantico il rimando al concetto di (cor)retto (orthòs). Ebbene, cominciamo dall’ultima.
Su un quotidiano stamane la notizia in prima pagina recitava: “Avetrana, Zio Michele rimane in obbligo di dimora”. Ora, è consuetudine affettuosa attribuire parentele, soprattutto in presenza di bambini: «vai in braccio allo zio Anselmo», quando Anselmo non è fratello né al padre né alla madre, ma solo un caro amico. Va bene, a patto però che rimanga in abito familiare, visto che i parenti collettivi non hanno mai portato bene, dallo Zio Sam che reclutava soldati nelle due guerre mondiali, a Mamma Ebe, la santona che nella seconda metà degli anni ’80 occupò le pagine di cronaca nera con malefatte inenarrabili in questo spazio angusto. Al patriottico e al fanatico ultimamente si è aggiunto anche il parente catodico, con il personaggio di Nonno Libero interpretato da Lino Banfi: se agli italiani sta bene, perché no? Avrei preferito Verdi come avo collettivo, piuttosto che Mister Oronzo Canà, ma pazienza: evidentemente il Cigno di Busseto appartiene a un’altra epoca, di certo più memorabile dell’attuale. Tornando al maldestro titolista, bisognerebbe informarlo che chiamando “zio” quel personaggio truce di Michele Misseri lo si ammanta inconsciamente di una connotazione familiare, quasi positiva. È lo stesso meccanismo (ma questa volta pienamente voluto) per cui molto spesso si sente parlare di Silvio, Silvio e basta. Tutti gli altri politici e imprenditori italiani sono sempre indicati con nome e cognome, ma Silvio no, è uno di noi, menomale che Silvio c’è. Voi direte, e che c’entra con l’ortografia? Ebbene c’entra, perché una corretta scrittura è già sintomatica di qualità, ma non basta per distinguere informazione da deformazione. Di contro, ci sono professionisti della penna che veicolano messaggi corretti ma che necessiterebbero di una buona revisione (per favore qualcuno informi Roberto Saviano che l’espressione avversativa “piuttosto che” non va usata come la “o” disgiuntiva, altrimenti, da ora in avanti, leggerò altro “piuttosto che” l’autore di “Gomorra”).
Veniamo all’orto. Il mio, piantato da poco, non è affatto orthòs: i filari di piantine, disposti l’altro giorno in linea retta, si saranno spostati nella notte visto che ora descrivono tracciati eccentrici come gimkane. Evidentemente è un orticello che non si piega alle convenzioni, ma alle mie intenzioni sì, dovrà farlo, ora che ho deciso di studiare la coltura biodinamica, ovvero basata sull’assenza di prodotti chimici e sulla consociazione di piante diverse. Come per gli umani, vi sono specie vegetali che insieme apportano l’un l’altro mutuo beneficio, altre invece la cui vicinanza le danneggerebbe. Ma per saperne di più dovrete attendere la prossima settimana. E nel frattempo, non accostate insieme i cetrioli con le patate.