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Parole che contano

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

15
NOV
2013
U come Umore. Anzi: umori, intesi come stati d’animo che in questo 2013 sembrano venir fuori dalla centrifuga di una lavatrice impazzita. Tre letture che aiutano a ritrovare il “buonumore”.
 
UMORI E MALUMORI
Diviso in tre parti (“Umori e malumori”, “I soldi” e “Bizze e stizze”) il nuovo gioiello che Raffaele La Capria propone ai lettori raccoglie 27 brevi prose apparse sul “Corriere della sera”, nelle quali  descrive in modo straordinario, con quella “grazia” propria della grande letteratura,  i suoi stati d’animo rispetto alla condizione del mondo e, in particolare, dell’Italia. E lo fa con la cifra stilistica che da sempre lo contraddistingue: “lo stile dell’anatra” che, come La Capria spiega, “fila leggera sull’acqua e nasconde lo sforzo che fanno le zampette palmate sott’acqua…”. Le prose raccontano l’Italia di oggi, “girandola dei numeri, delle addizioni e delle sottrazioni”, un’Italia in cui la verità sembra essersi ridotta “ad una pallina impazzita che rimbalza nella roulette tra il rosso e il nero”.  Una Nazione in cui i conduttori televisivi sono “agitatori” che eccitano i peggiori istinti dei telespettatori e la letteratura è, ahimè, “l’ultima ruota del carro”, collocata ai margini, anzi emarginata. “La cultura non viene mai riconosciuta e promossa per quello che è…i premi letterari sono vuote cerimonie, inventati più per il turismo, gli assessori, i politici locali che per lo scrittore, più per usare la letteratura che per onorarla. Nessuno vuole mettersi in testa che in letteratura non vale la democrazia e l’egualitarismo cui si vorrebbe ridurla, perché la letteratura è elitaria, c’è chi è più bravo e chi meno bravo, e tanto basta.” In “Umori e malumori” non mancano pagine che aprono il cuore, come quelle dedicate alla “simpatia”, alle “belle lettere di una volta”,  al “senso delle parole” come giustizia, pace. O quelle che contengono brevi racconti, apologhi. Uno per tutti (tratto dalla prosa intitolata, appunto “Umori”) quello del cactus spinoso dal quale un giorno esplodono tre “bianchi fiori splendenti…Bianchi, immacolati, miracolosamente apparsi”, vivono un solo giorno e ci dicono che “nascita e morte fanno parte dell’esistenza, quella che accomuna fiori, animali uomini e piante e ogni cosa vivente. Vivente e morente, ed eternamente rinascente.”
Poco più di 100 pagine, agili, di straordinaria leggibilità con le quali La Capria, facendo proprio il monito di Josè Bergamin (“sii profondamente superficiale”) senza semplificazioni penetra la profondità della semplicità. 
 
LA FESTA DELL’INSIGNIFICANZA
L’uscita è avvenuta in anteprima mondiale, dopo quattro anni di silenzio e la reazione dei lettori di Milan Kundera non può che essere la meraviglia. L’appagamento pieno. La trama del romanzo è leggera e impalpabile, come la piumetta che, ondeggiando sotto il soffitto della sala in cui “La festa dell’insignificanza” si svolge, attrae la curiosità di Charles, uno dei protagonisti, e poi di tutti gli invitati i quali, “radunati all’estremità di un grande tavolo, dirigono lo sguardo verso l’alto, anche se non vi ondeggia alcuna piumetta; sono ancora più turbati e nervosi perché la cosa che li spaventa non si trova né di fronte (come un nemico che si potrebbe uccidere), né sotto (come una trappola che la polizia segreta potrebbe sventare), ma in un punto sopra di loro, come una minaccia invisibile, incorporea, inspiegabile, inafferrabile, impunibile, maliziosamente misteriosa.” Inafferrabile e avvincente è, dunque, la trama de “La Festa dell’insignificanza, in cui lo scrittore ceco non cede alla tentazione del realismo e conduce il lettore lungo un percorso che tocca tutti i temi kunderiani, come si legge nella bandella della copertina: il romanzo “può essere considerato una sintesi di tutta la sua opera. Una strana sintesi. Uno sguardo epilogo. Uno strano riso, ispirato alla nostra epoca che è comica perché ha perduto il senso dell’umorismo.” Fascino e seduzione, menzogna, mistificazione e verità, inutilità di essere brillanti e attrazione suscitata dal silenzio,  salute, malattia e morte,  lentezza e frenesia, comicità e angoscia. Questi e tanti altri sono i temi toccati da Kundera, attraverso personaggi che incarnano alla perfezione i vari umori di quello che è il palcoscenico della vita. In ordine di apparizione incontriamo Alain, concentrato sulle varie fonti della seduzione femminile: le cosce, le natiche, il seno ed infine l’ombelico; Ramon, inebriato dall’indifferenza dei tanti passanti che attraversano i giardini del Lussemburgo nei confronti degli artisti di genio; D’Ardelo, il cui “buonumore è magicamente segnato dal pathos della morte”, tanto da mentire e inventarsi di avere un cancro,   impegnato col pensiero sulla festa del suo compleanno, dalla quale mancavano tre settimane e invaso dalla felicità di essere festeggiato che aveva la meglio sulla “vergogna di invecchiare”; Charles che si guadagna da vivere organizzando cocktail per i privati e ha assunto come cameriere un attore disoccupato, Caliban il quale insiste per accompagnare Charles  non in qualità di francese ma di pakistano, inventandosi una lingua inesistente per vivacizzare i cocktail. 
 
LE ATTENUANTI   SENTIMENTALI
Nella forma dell’autofiction, infatti il protagonista  de “Le attenuanti sentimentali”si chiama   proprio come il suo autore, Antonio Pascale  mette in campo un personaggio,  dai pensieri vorticosi che, acquistata una bicicletta, attraversa Roma alla ricerca di un equilibrio fra un sistema decisionale intuitivo, veloce, impulsivo, che salta subito alle conclusioni e un sistema decisionale lento, pigro, che fatica ad arrivare ad una conclusione e richiede tempo. Per questa ragione al personaggio-Antonio Pascale piace “pensare e camminare, perché l’andatura bilancia i pensieri, fornisce un ritmo, come un metronomo. Calma, riflessione, analisi.” Con una scrittura agile, che riproduce  l’umore esistenziale del nostro tempo e dei sentimenti, Antonio Pascale, con questa sua nuova prova, riconferma il talento di una sperimentazione linguistica riuscita alla perfezione, componendo – come si legge nella quarta di copertina – “un caleidoscopio abrasivo, divertentissimo, incastrando alla perfezione scene brillanti e riflessioni sovversive.” 
Dal momento che la rubrica di questa settimana è dedicata agli umori, offriamo  un passaggio del romanzo il cui registro di fondo è una divertita ironia che tocca vari temi, tra i quali l’immancabile amore. 
“L’io è labile, discontinuo, i pensieri sono uno strano miscuglio, insomma la narrazione altro non è che l’estremo tentativo – illusorio e, chissà, a volte commovente – di dichiarare che niente accade per caso. E invece tutto accade per caso, anzi prima le cose accadono, e non lo vediamo, poi cerchiamo di interpretarle. Dobbiamo proteggerci dal caos, e i sentimenti sono lo strumento, la nostra corazza….Il fatto è che il bisogno di un partner stabile per poter avere successo riproduttivo fa sì che le donne siano molto concentrate sulle relazioni d’amore, dalle quali da un punto di vista evoluzionistico, non possono non dipendere. Per questo il sentire parlare d’amore piace così tanto alle donne, per questo Cechov dice che le donne ti perdonano tutto ma non l’eccesso di ragionevolezza. Per questo le lettrici di romanzi sono in maggioranza donne e per questo gli/le scrittori/scrittrici scrivono d’amore, e per questo io non dovrei scrivere saggi.”
 


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