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COMICITÀ/FUORI DALL´AUTO

Pubblicato da: Categoria: EVENTI

31
AGO
2017

Incazzato lo è solo quando indossa i suoi inconfondibili occhiali da sole sul palco. E, forse, anche quando guida. Nella vita, il neo-papà (per la seconda volta) Gioele Dix sceglie la leggerezza e quell’autoironia che gli è fondamentale per superare gli ostacoli.

Leggo che a Martina Franca verrà premiato Gioele Dix e io, da sempre sua fan, mi precipito al Festival del Cabaret per incontrarlo. Sono certa di trovare un bell’uomo, simpatico, divertente, affascinante. Ma la realtà supera di gran lunga le aspettative.
Sessantuno anni portati magnificamente, un carisma unico e una bellezza che i suoi capelli bianchi hanno, se possibile, persino accentuato. Si esibisce nel suo personaggio più famoso, riceve il premio Città di Martina Franca e dopo i saluti, quando scende dal palco, trova me in trepidante attesa di intervistarlo. Non si sottrae alle mie domande e, anzi, risponde con cortesia, non rinunciando a farmi ridere con alcune delle sue battute, sempre pacate e misurate.

Hai appena ricevuto il Premio Città di Martina Franca, che è un premio alla carriera e la tua è stata ed è tuttora davvero eclettica. Se dovessi riassumerla in una parola quale sarebbe?
«In realtà sono sempre piuttosto insoddisfatto di natura. Vorrei fare di più, vorrei fare cose sempre più belle. Se c’è qualcosa che però mi rende fiero di me stesso è il fatto di aver tenuto duro, perché è davvero molto difficile fare questo mestiere. Soprattutto nei primi dieci anni ho avuto grandi difficoltà: ero molto giovane, avevo tanta voglia di fare, ma facevo fatica. Tuttavia, ho resistito e ce l’ho fatta. Dunque, una parola: la tenacia».

Te lo aspettavi questo premio?
«Assolutamente no. Anche se so che da ventuno anni viene dato a personaggi rilevanti del mondo dello spettacolo, dunque mi sento in buona compagnia. Ne sono felicissimo. Certo, quando ho visto la lista dei comici ho detto: “Caspita, potevano darmelo anche un po’ prima!”».

Cosa ricordi con più piacere e cosa, invece, vorresti proprio dimenticare?
«Con più piacere la prima volta che ho portato in scena il personaggio dell’automobilista incazzato. Ero al Sistina, a Roma, e non mi conosceva praticamente nessuno. Nonostante questo ricevetti un applauso oceanico e lì capii che c’era qualcosa. Da dimenticare? Vediamo… poco prima di questo exploit ebbi l’occasione di presentare un programma. Ero molto agitato e così, per sciogliermi un po’ bevvi tre grappe. Devi sapere che io non bevo mai, perciò mi presentai completamente ubriaco e feci una figuraccia immensa».

L’automobilista “sempre, costantemente incazzato come una bestia” è uno dei personaggi che è entrato maggiormente nel cuore della gente. Qual è il suo punto di forza?
«L’identificazione, penso. Tutti siamo un po’ così al volante: chi reagisce con rabbia, chi con rassegnazione. È lo specchio di ciò che siamo. Inoltre, credo che la gente lo ami così tanto anche perché io sono totalmente coinvolto. Sono dentro il personaggio, e questo traspare. Il pubblico lo avverte e reagisce di conseguenza».

Cos’è la comicità per te?
«Una medicina che serve per lenire il dolore e la fatica della vita, che è complicata, piena di imprevisti e di trabocchetti. La comicità aiuta molto a superare tutto questo. Soprattutto, è fondamentale l’autoironia, che aiuta a sdrammatizzare e ad affrontare tutto con maggiore leggerezza. Rende tutto più morbido».

So che sei diventato di nuovo papà. Che tipo di genitore sei?
«Ho una figlia più grande e un bimbo nato da poco. Diciamo che sono un papà tenuto in ostaggio da questo bambino. Ne sono felicemente prigioniero!».


Nella vita, per farti strada o semplicemente per conquistare qualcuno, usi più il fascino o la comicità?
«Fascino, mai. Comicità, sempre!»

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Oltre a tanto umorismo hai affrontato anche tematiche molto serie. Parlo in particolare del tuo libro “Quando tutto questo sarà finito” che racconta le tue radici ebraiche.
«Si tratta della storia della mia famiglia, che è stata perseguitata negli anni Trenta. È perlopiù un viaggio nella memoria di mio padre, un uomo che ha sofferto molto ma che ha sempre nascosto questa sofferenza. Come tutti coloro che l’hanno vissuta, non ne ha mai parlato. Quando sono finalmente riuscito a scalzarlo dalla sua ritrosia ho capito che quella era una storia che andava raccontata, perché non riguardava solo la mia famiglia, ma un’intera popolazione».


Cosa farai nell’immediato futuro?
«Riprenderò con “Il malato immaginario” e poi ancora tanto, tanto teatro».
 



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