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SARA PUTIGNANO: Come un amore a busta chiusa

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

15
GIU
2012

 

Incontro Sara in un caldo primo pomeriggio di giugno: ci conosciamo bene, ma non ho mai avuto modo di farle le domande che in quest’occasione le ho fatto, né di comprendere a fondo il suo percorso professionale; così, davanti a un caffè caldo in ghiaccio, mi stupisco nello scoprirla addirittura imbarazzata di fronte al mio vecchio registratore! Lei, che nonostante la giovanissima età ha già calcato alcuni tra i più prestigiosi teatri d’Italia, non ostenta sicurezza alcuna, nessun accenno di divismo, e si rivela semplice, vera e disponibile a ripercorrere con me (e con tutti noi) la sua esperienza nel mondo dello spettacolo. Inizio con le domande. 
 
Da bambina, quando ti domandavano “Cosa vuoi fare da grande?”, cosa rispondevi ?
«…Ora che mi ci fai ripensare, ricordo che da bambina, di fronte a questa domanda “tremavo”! Mi trovavo in difficoltà, andavo in crisi perché non sapevo mai cosa rispondere, a differenza delle mie amichette che avevano sempre la risposta pronta, magari anche cambiando idea ogni giorno, ma non esitavano a rispondere! Io invece…ammutolivo, limitandomi a rispondere semplicemente “Non lo so ancora, ci sto pensando”, anche se mi sembrava quasi “un errore” non sapere cosa volessi fare da grande!»
 
E quando hai capito, invece, che quello che volevi fare in realtà era il teatro?
«Tutto è avvenuto in maniera abbastanza naturale: non c’è stato un momento preciso in cui l’ho capito,né un momento esatto in cui ho deciso d’intraprendere questa strada. È stato, piuttosto, un percorso: l’ho scoperto in itinere: facendo teatro ho capito di voler fare teatro, e l’ho capito in maniera talmente tanto chiara, che è stato quindi come scoprire di saperlo da sempre in realtà cosa volessi fare da grande e nella vita!»
 
Vuoi fare l’attrice, questo è assolutamente chiaro ed evidente: l’amore per il teatro emerge da ogni poro del tuo essere! Ma a quando risale la tua prima esperienza sul palcoscenico?
«All’adolescenza: le mie prime esperienze attoriali risalgono agli anni del liceo, nell’ambito degli spettacoli di fine anno, ai quali partecipavo sempre con grande entusiasmo, ma senza mai farmi troppe domande, senza riporre eccessive aspettative o figurando prospettive; semplicemente sentivo che era una cosa che mi piaceva fare e la facevo al meglio che potevo. Parallelamente in quegli anni ho partecipato anche ai laboratori del Teatro Crest di Taranto, che proponeva (e continua a proporre) un tipo di teatro sperimentale, ed è stato allora che mi si è aperto un orizzonte “nuovo” rispetto all’idea classica che avevo del teatro, e devo dire che questo è stato molto stimolante perché mi ha permesso di scoprire alcune delle molte possibilità racchiuse in me attraverso lo strumento del teatro.»
 
Nella tanto ambita Accademia “Silvio D’Amico” di Roma - che di certo ha avuto un peso determinante nella tua formazione teatrale - come ci sei arrivata?
«Anche la scelta di provare a entrare in Accademia è stata piuttosto naturale, almeno da certi punti di vista… Ti spiego: quello che io volevo fermamente era trasferirmi a Roma; sono sempre stata innamorata della Città eterna ancor prima di conoscerla personalmente… Un po’ com’è successo per il teatro, che ho sentito di amare da sempre pur senza conoscerlo veramente, dato che il mio primo spettacolo teatrale “vero”, di un certo spessore artistico, l’ho visto a Roma quando avevo già 18 anni… Diciamo che il mio amore per il teatro è stato un “amore a busta chiusa”, che poi quando ho aperto, fortunatamente, non mi ha delusa!»
 
Bella metafora, mi piace, complimenti!
«Grazie! Dicevo: mi serviva quindi un alibi “importante” per reggere il desiderio di andare a vivere a Roma, così mi sono iscritta all’Università, alla Facoltà di Lettere e Filosofia con indirizzo Arte e Spettacolo, e ho frequentato per circa due anni l’Università. Parallelamente ho frequentato anche la scuola di teatro dei Cantieri Teatrali (con la direzione artistica di Fioretta Mari) e lì ho imparato davvero tante cose, ma soprattutto ho capito in maniera chiara quanto il teatro fosse importante per me e quanto in realtà mi piacesse. Da lì, la decisione di tentare l’audizione per l’Accademia.»
 
Audizione tentata e superata brillantemente: hai trascorso così tre anni in Accademia, lavorando accanto a maestri teatrali di fama internazionale, come Nekrosius, Salveti, Ronconi, Binasco e molti altri. Chi, tra tutti, credi sia stato in grado di darti di più?
«Tutti i maestri, tutti i compagni, tutte le persone che hanno costruito questo percorso insieme a me mi hanno dato tanto, soprattutto perché mi hanno permesso di acquisire quella sicurezza che per natura mi manca, ma che è indispensabile per andare avanti nel mondo dello spettacolo. Tra tutti forse Valerio Binasco è quello che mi è rimasto più nel cuore, per la sua infinita sensibilità umana e per il suo modo d’intendere il teatro, che è molto simile al mio.»
 
E cioè? Cos’è per te il teatro?
«Per me il teatro è fondamentalmente ricerca, è capacità di scoprire (e talvolta di superare) i propri limiti e le proprie risorse, è la chiave (e anche “il gioco”) per accedere al mondo racchiuso in ogni singolo individuo. Per me è tutto, il teatro è vita.»
 


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