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SCUOLA/ECOSISTEMICA ED ECOSOSTENIBILE

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

12
SET
2014
La campanella è suonata. Il nuovo anno scolastico è partito come sempre tra le  contraddizioni: Extra ha accolto alcune note di Roberto Maragliano e Gino Roncaglia, ospiti di un seminario barese
 
Esiste una buona scuola? La domanda, decisamente retorica, non può non rimandare al testo del Governo Renzi (La buona scuola- Facciamo crescere il Paese) che, dal giorno della sua pubblicazione è diventato oggetto di dissertazioni, commenti; ha fatto germogliare iniziative come quella di Repubblica che, con l’intervento di Marco Lodoli (4 settembre), ha invitato i lettori a raccontare l’incontro con il prof. che gli ha cambiato la vita. Anche l’ultimo numero della rivista “Micromega” (in foto) è dedicato alla scuola e,  partendo dall’assunto di una scuola trasmissiva che “prepara alle professioni” appassionando, focalizza la sua attenzione sul “piacere” e raccoglie interventi di autori vari che raccontano  modalità di insegnamento di alcune materie curricolari che non annoiano e producono, attraverso il “piacere”, più conoscenze. E’ questa la “buona scuola”? Se sì, ne dedurremmo che la cattiva scuola è quella in cui ci si annoia.  E se provassimo a rovesciare il paradigma e assumessimo la noia proprio come cifra della creatività e del pensiero divergente?  Ma, andando oltre, la contrapposizione buona/cattiva scuola giova in questo clima così confuso e incerto? O non contribuisce piuttosto ad alimentare i conflitti, la guerra tra poveri? Quale genitore vorrebbe per il proprio figlio/a una cattiva scuola? E poi: a cosa pensiamo quando parliamo di scuola? Siamo davvero convinti che essa sia ancora il principale centro d’irradiazione del sapere? Siamo davvero convinti che i prof. abbiano ancora qualcosa d’indispensabile da insegnare? Siamo convinti che tablet, smarphone, LIM (strumenti indispensabili) possano risvegliare dal coma l’organismo morente della scuola senza che dietro di essi vi sia il superamento dell’impostazione trasmissiva, il superamento della logica binaria (studente/professore; buono/cattivo; produzione/consumo; saperi forti/saperi deboli)? E dei tagli all’istruzione ne vogliamo parlare? Il rapporto annuale dell’OCSE, pubblicato alcuni giorni fa, denuncia la situazione del nostro Paese: primo per i tagli all’istruzione attuati dal 2008 in poi, con tassi altissimi di dispersione scolastica. Ergo: sulla scuola occorrono investimenti in soldoni. Ma la scuola ha bisogno anche di visioni,  ha bisogno di farsi eccentrica, di sentirsi parte di una complessità infinita che non ha un centro. La scuola è nel reticolo della complessità del mondo uno dei molteplici snodi attraverso i quali passa l’apprendimento, fatto accidentale che, portato dentro, va metabolizzato, praticato con sistematicità e spirito critico e portato fuori, in quell’ecosistema così complesso di cui ciascuno di noi è parte attiva ma molto spesso inconsapevole.  Una scuola innovativa, quindi, è una scuola ecosistemica, (anche ecosostenibile, naturalmente!) un ambiente in cui ci sono punti di vista, tempi, filosofie, metodi, approcci diversi e coesistenti.  Approcci generativi di “letture” diverse del mondo, dalle quali far partire azioni  trasformative del mondo. 
Martedì scorso a Bari  si è  concluso il Seminario di Formazione Book in Progress, al quale hanno partecipato diversi esperti con interventi volti ad inquadrare la complessità di quel che sta avvenendo. Scuola capofila del progetto Book in Progress è il Liceo “Majorana” di Brindisi, diretto da Salvatore Giuliano, al quale due anni fa il nostro settimanale dedicò un ampio servizio. Questa volta abbiamo pensato di accogliere nelle nostre pagine stralci di due degli interventi del seminario (quello di Roberto Maragliano e quello di Gino Roncaglia) che offrono spunti critici molto interessanti e costruttivi per un ripensamento della scuola sul piano didattico. Lettrici e lettori che vogliano approfondire la questione possono leggere gli interventi nella loro completezza sulla pagina http://www.bookinprogress.org/
 
 
GINO RONCAGLIA
 
Quali competenze per i nativi digitali? “Riconoscere, comprendere, selezionare, utilizzare la complessità dei flussi informativi”
 
 
“L’incontro fra le forme tradizionali della didattica e il mondo dei contenuti e degli strumenti digitali rappresenta per la scuola un passaggio non certo facile. Un passaggio avviato ormai da più di due decenni, ma in larga parte ancora irrisolto: sia perché i tempi di reazione della scuola italiana sono tutt’altro che fulminei, sia perché l’evoluzione del mondo digitale è invece rapidissima….Che questa situazione possa creare una qualche confusione è quasi inevitabile. Ma il livello di confusione che sembra caratterizzare – in particolare negli ultimissimi anni – la discussione in materia di evoluzione degli strumenti per la didattica e l’apprendimento, è francamente assai preoccupante. 
Si sostiene così che il digitale possa e debbia cambiare in maniera radicale pratiche e metodologie didattiche, ma non sembra esserci molto consenso sulle forme e sulle caratteristiche specifiche di questi cambiamenti. Si parla di strumenti radicalmente nuovi, ma la realtà sembra spesso smentire le aspettative: è davvero così innovativa la sostituzione di un libro di testo su carta con il file PDF di quello stesso testo? Gli oggetti di apprendimento (learning object) – su cui tanto si era teorizzato – si rivelano troppo spesso programmini assolutamente deludenti, organizzati in moduli slegati fra loro, totalmente chiusi rispetto alle possibilità offerte dalla rete, con contenuti multimediali minimali, una grafica che fa rimpiangere quella dei CD-ROM degli anni ’90, e l’interazione con l’utente limitata alla navigazione verso la scheda precedente o successiva e alla possibilità di calcolare il punteggio delle risposte a test spesso di una banalità sconcertante. Si parla molto (forse troppo) di strumenti certo preziosi e innovativi ma molto legati alla didattica trasmissiva tradizionale, come le LIM, e nel contempo si sperimenta l’uso in classe dei tablet, che hanno caratteristiche completamente opposte, senza che le due pratiche (per carità, in linea teorica entrambe preziose) siano in alcun modo raccordate e armonizzate fra loro, ad esempio attraverso l’uso di piattaforme trasversali ragionevolmente diffuse e potenti. La sperimentazione di e-book di testo multimediali degni di questo nome sembra limitata a pochissimi casi e richiede investimenti notevoli, mentre – anche a livello di decisori politici o amministrativi – sembra invece diffondersi l’idea che gli e-book di testo possano essere gratuiti o quasi. Gli stessi insegnanti più impegnati e competenti nel campo della didattica multimediale sembrano a volte sostenere contemporaneamente – senza rendersi ben conto della contraddizione – l’idea che i libri di testo siano ormai completamente superati dal ricorso alla rete e alla libera scelta di singole risorse indipendenti, selezionate di volta in volta da docenti e studenti in base alle specifiche necessità didattiche e di apprendimento del momento, e l’idea che sia auspicabile una generazione di ‘nuovi’ libri di testo, aperti, gratuiti, frutto del lavoro collaborativo di più insegnanti collegati attraverso piattaforme di rete. Nell’un caso e nell’altro, peraltro, non è ben chiaro quali siano le procedure di selezione e validazione dei contenuti (e spesso l’idea stessa di validazione dei contenuti sembra del tutto assente). Il disordine sotto il cielo è insomma notevole, senza che per questo la situazione possa dirsi eccellente. Al contrario, sembra esserci il forte rischio di confondere (e confondersi) le idee. Per provare a mettere un po’ d’ordine, il mio suggerimento – in un dibattito troppo spesso parcellizzato in singole discussioni su metodologie e strumenti – è quello di ripartire dalla questione davvero prioritaria: quella degli obiettivi. Quali competenze dobbiamo dare alle nuove generazioni di nativi digitali? In cosa si differenziano da quelle che la scuola e in generale il sistema formativo si proponevano di fornire in passato?
Dobbiamo dunque garantire competenze e strumenti necessari a riconoscere, comprendere, selezionare, utilizzare, produrre contenuti informativi strutturalmente articolati e complessi. Avviare la generazione dei nativi digitali all’enorme lavoro di riconquista della complessità che li attende, in un ecosistema informativo assai più ricco ma anche assai più variegato e frammentato di quanto non avvenisse in passato: questo è l’obiettivo trasversale che dovrebbe innanzitutto porsi oggi il nostro sistema formativo. E rispetto a questo obiettivo dovrebbe valutare l’efficacia e la funzionalità di metodologie e strumenti, sia a livello generale, sia in ambito disciplinare.”
 
 
 
 
ROBERTO MARAGLIANO
 
La scuola va completamente ripensata, nei contenuti e nelle pratiche. “Dobbiamo imparare a fare i conti con le dinamiche di apprendimento proprie del digitale e della rete”
 
“Comunque la pensiate, il digitale e la rete sono una rivoluzione. Hanno già cambiato moltissime cose, attorno, sotto e pure dentro di noi. Dopo un secolo e mezzo di vita sono pressoché scomparse le foto su carta, dopo un secolo di vita sono scomparsi i dischi. Ma i libri no, ancora sono in vita, anche se il sospetto che la loro sorte sia in buona parte segnata è forte. E pure la scuola no, almeno quella italiana. Resiste. Attenzione, però: secondo me, resistendo, e facendo della formula "distrazione digitale = distruzione scuola" una sorta di mantra o, se preferite, di tweet, si condanna ad una inevitabile fine. Badate bene, però: non per troppo poco apprendimento, come credono gli ingenui, bensì per troppo apprendimento. Questa/quella scuola è infatti centrata sull'insegnamento, lì sta la sua tara (storica del resto). Si illude che il pupo impari per bene solo se per lui c'è un giusto contesto, un giusto testo, e, naturalmente, un giusto insegnante. Niente vero, almeno per l'oggi, anche se forse per i giorni passati ciò poteva andare bene (ma visti gli esiti, comincio a dubitarne). Cosa fanno soprattutto i nostri ragazzi e le nostre ragazze, oggi, stando in rete? Apprendono, imparano, e comunicano (nel senso che mettono in comune) i loro apprendimenti. Insomma: condividono, compartecipano, scambiano. E così si muovono, così cambiano, così vivono, così costruiscono il futuro (loro e pure nostro). Tutto ciò, riconosciamolo, avviene fuori della scuola: di questa/quella scuola che invece li vuole immobili, ciascuno isolato dall'altro, ad apprendere tutti dalla stessa fonte e allo stesso modo. Data questa situazione, che mai potremmo fare noi uomini e donne di scuola (condannati alla scuola)? Due sono le possibilità. Prima, cercarsi un riparo e lì dentro vivacchiare, in attesa che la buriana finisca: soluzione che vale per lo studente, che infatti la pratica massicciamente, ma non per noi. Seconda, ben più impegnativa. Affrontare di petto il cambiamento, fare i conti con il mondo che cambia, mettere in discussione ciò che della scuola che conosciamo è irriducibile alla maniera "mondana" di apprendere che la rete ha reso pressoché universale. Detto in altra maniera: dobbiamo imparare a fare i conti con le dinamiche di apprendimento proprie del digitale e della rete, fondate sull'operatività, lo scambio, la condivisione, l'intercambiabilità dei ruoli, la flessibilità delle pratiche, l'apertura e la fecondità reciproca dei saperi. Insomma, il digitale prima di tutto noi dobbiamo studiarlo, in caso contrario per loro sarà sempre l'alternativa allo studio (scolastico). E' evidente, almeno a chi la pensa come me, che nessun libro, anche quello meglio concepito e realizzato, potrà mai contenere e tanto meno governare un simile "gnommero" (Gadda). E allora? Allora chi come voi sta pensando e provvedendo a nuove modalità di realizzazione di libri scolastici ha anche questo vantaggio rispetto a chi lo fa per professione, cioè l'editore: che può pensare e realizzare in prototipo e mettere alla prova un qualcosa che non sia libro ma possa funzionare meglio del libro per far studiare secondo logiche coerenti con le caratteristiche del digitale e della rete.
Spesso quando si parla di scuola si mostra affezione per una realtà che non c'è più: quella in cui la scuola ha l'esclusiva sulla riproduzione del sapere che conta e la gestisce, in piena armonia con la società circostante, mettendo tale sapere a disposizione di chi mostra di avere le basi per fruirne.   Non è più così, nessuno dei tre presupposti (esclusiva, riconoscimento sociale, selezione nell'accesso) è ancora in piedi (fortunatamente!). Dunque, per poter sopravvivere alla trasformazione della società, ai suoi investimenti sul sapere e alla forma nuova che assume questo investimento, la scuola deve essere totalmente ripensata, nei suoi contenuti come nelle sue modalità didattiche. Già sarebbe molto se ci fosse consapevolezza di questa situazione e della complessità dei problemi che solleva. Invece ci si gira sempre attorno: a vuoto, appunto.”
 


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