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Luigi Viola/ Lo studioso della Taranto antica

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

19
GIU
2015
Una vita spesa tra archeologia, studio e iniziative sbagliate: il professore di greco e latino, artefice della nascita del Museo archeologico, finì i suoi giorni quasi in miseria
 
Chi si volesse avvicinare anche solo in punta di piedi all’archeologia a Taranto, il primo nome che gli viene incontro è quello di Luigi Viola: professore di greco e latino, nonché artefice della nascita del Museo archeologico di Taranto (Regio Decreto del 1887).
Luigi Viola, ultimo di 7 figli, chiamato in famiglia Picci, era nato a Galatina (LE) nel 1851 da una famiglia medio borghese. Il padre Cesario, proprietario terriero, sin da subito, intuendo le potenziali capacità del figlio e consigliato anche da Padre Depace degli Scolopi, lo mandò a studiare prima in collegio e poi all’università a Napoli. Laureatosi a 23 anni, Luigi Viola ottenne subito una cattedra al liceo di Maddaloni (Caserta), come professore di greco e latino. Nel 1878, venuto a conoscenza che a Roma si stava bandendo un concorso per Ispettore Archeologico (materia nuova a quell’epoca), e al vincitore veniva offerta una borsa di studio, più un viaggio culturale in Grecia, volle parteciparvi e lo vinse. Diventato Ispettore Archeologico nel 1880, dal ministero fu inviato a Taranto, dove stavano iniziando i lavori per la realizzazione del canale navigabile, dell’arsenale militare e del ponte girevole (ponte inaugurato nel 1887 dall’Ammiraglio Ferdinando Acton).
A Viola si deve anche il ritrovamento della Lex Julie Municipalis (89/62 a.C.). Voluta da Caio Giulio Cesare (100/44 a.C.), era una raccolta di leggi che disciplinavano e regolavano la vita delle città romane o conquistate dai romani. Dopo un lungo lavoro di restauro dei quattro reperti bronzei rinvenuti, il Viola riuscì piano piano ad interpretare le lettere che la caratterizzavano: era il segno di Roma che dettava le sue leggi e assoggettava la Magna Grecia. L’originale della Lex Julie Municipalis attualmente fa bella mostra di se nel Museo Archeologico di Napoli, mentre in quello di Taranto si può ammirare solo la sua riproduzione. 
Sempre Viola, nei suoi giri d’ispezione e di ricerca nella periferia della Città, ebbe modo di recuperare anche delle vasche in carparo che, rinvenute da contadini e pastori, le utilizzavano come mangiatoie per il bestiame, pur trattandosi di antichi sarcofaghi risalenti alla Magna Grecia.
Esperto archeologo, riuscì a portare alla luce anche la cinta muraria che dal mar piccolo al mar grande difendeva Taranto. Annibale, nel 212 a.C., con uno stratagemma, proprio dal lato est di quelle mura, riuscì a ed entrare nella città dalla porta Temenide, beffando i romani e facendo scappare Marco Livio, comandante la piazza.
Nel 1899, calandosi con un operaio in un pozzo artesiano di sua proprietà, per verificare la portata dell’acqua, Luigi Viola scopri in contrada Solito una grotta trasversale. Incuriosito, cominciò a togliere la massa di terra e fango che la ricopriva e così portò alla luce degli affreschi con delle effigi di Santi e il volto di Cristo. Il 13 febbraio 1900 il piccolo Santuario rupestre venne solennemente inaugurato, ma poi tornò tutto nell’oblio. Solo nel marzo del 1979, grazie ad una petizione dell'Arcivescovo Emerito di Taranto, Monsignor Guglielmo Motolese, decisero di intervenire per il suo recupero e per realizzare le necessarie opere di consolidamento e di salvaguardia della struttura. L’ipogeo ristrutturato si trova in via Terni ed è denominato “La Cripta del Redentore” e dal dicembre 2011 è stato riaperto ai visitatori. 
Della vita privata di Luigi Viola sappiamo che nel 1885 si è sposato a Taranto, non più giovanissimo, con Caterina Cacace ed ebbe da lei dieci figli, di cui tre, Carlo, Sandro e Paolo, morti in giovanissima età. Uno, Cesare Giulio da adulto, affermato sceneggiatore, commediografo, critico teatrale e scrittore, dedicò al padre una commovente biografia, dal titolo “Pater”.
Luigi Viola si dette anche alla politica, diventando Sindaco di Taranto dal 5.12.1890 al 17.3.1891. Ma il Ministero, probabilmente per incompatibilità tra la sua attività di Ispettore Archeologo e la carica di Sindaco, provvide a trasferirlo a Napoli. Dopo altre ripetute incomprensioni con la Sovraintendenza Nazionale, che lo voleva ulteriormente trasferire in un’ altra sede del nord, Luigi Viola dette le dimissioni. Tornato a Taranto, lasciò l’archeologia e il suo posto di ispettore per intraprendere altre attività. Si dedicò alla coltivazione della terra e della vigna. Si cimentò anche in attività commerciali, ma tutto andò in fumo, fece debiti e firmò cambiali che non riuscì a onorare, e quando la situazione finanziaria diventò insostenibili si rivolse al suocero. Il suocero, Carlo Cacace, di origini napoletane, ricchissimo banchiere, imprenditore, commerciante e proprietario terriero, probabilmente stanco degli errori e delle richieste del genero, non volle più aiutarlo. Da allora i rapporti tra i due si incrinarono e rimasero tali sino alla morte di quest’ultimo. Non solo, la moglie Caterina, vedendosi ormai in miseria e spinta dalla necessità di tirare su degnamente i sette figli rimasti, e spinta anche dal padre e dai familiari, si allontanò dal marito e andò ad abitare, prima nella casa del padre in Corso Due Mari a Taranto, poi, quando Luigi Viola cercò di riunire di nuovo la famiglia, fu mandata, sempre dal padre padrone, a Meta di Sorrento, da parenti. Luigi Viola si trasferì allora per un breve periodo a Lecce dove, grazie all’amicizia con il direttore Pietro Marti, lavorò al giornale “Democrazia”. In fine, dopo la morte del suocero, la famiglia si ricongiunse e tornarono tutti a Taranto, ma gli ultimi anni non furono sereni. La moglie Caterina morì poco dopo, a 53 anni. Il figlio Cesare Giulio era lontano, studiava e lavorava a Roma. Gli altri figli, già grandi, avevano intrapreso le loro strade, lontani da casa. Dopo una vita dedicata al lavoro e alla famiglia, Luigi Viola era rimasto solo. Solo, nella sua casa troppo grande, troppo vuota e troppo silenziosa, di contrada Solito. Se ne erano andati tutti: la moglie, il padre, le due sorelle, il suocero e anche frate Depace. Non tornò più nemmeno al suo paese natale, e al Borgo e oltre il ponte girevole ci andava di rado. Qualche passante incontrandolo lo riconosceva ancora e togliendosi il cappello lo salutava, lui rispondeva distrattamente e riprendeva a camminare verso la sua masseria.
Negli anni venti del ‘900, la luce elettrica non era ancora arrivata a Solito e Luigi Viola per illuminare la sua stanza usava ancora il lume a petrolio. Lume che, appena acceso, diffondeva tristemente solo la sua cupa e curva ombra sulle pareti scrostate. Dopo aver vissuto l’infanzia in una famiglia numerosa e aver avuto lui stesso una famiglia numerosa, ora era solo. Solo con i suoi ricordi, rimpianti, angosce e forse pentimenti. Poi, nel 1924, gli venne presentato il conto definitivo. Una vita spesa tra archeologia, studio e iniziative sbagliate Luigi Viola, quasi in miseria, dopo una breve malattia, si spense a Taranto nel 1924 a 73 anni.
I padri hanno lasciato ai figli e ai nipoti le loro case, le loro terre, i loro luoghi e hanno portato con se solo il ricordo di tutte quelle curiosità che i figli non hanno fatto in tempo a chiedere loro e che ormai resteranno per sempre senza risposta e sepolte come quei reperti archeologici che aspettano da millenni, magari sotto pochi centimetri di terra, di poterci raccontare la loro storia, la vita del loro tempo e quella della Taranto antica. Quella della Magna Grecia.
 


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