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Martina, 17 agosto 1924/ Cronaca di una domenica particolare

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

11
SET
2015
Un’inedita piccola storia familiare sullo sfondo di una giornata di lotta fra krumiri e pipistrelli 
                      
 
Questa è la cronaca di una giornata particolare, domenica 17 agosto 1924, a Martina Franca rivista attraverso i ricordi di un’impaurita bambina, che aveva all’epoca giusto sei anni. Ricordi custoditi per lungo tempo nelle pieghe più profonde della sua memoria dalla quale, non si sa come né perché, ad un certo punto sono riemersi. Quella bambina di sei anni nell’agosto del 1924 era mia madre Graziella Speciale, che sarebbe poi diventata professoressa di Lettere al Liceo Tito Livio. 
Poche settimane prima di morire, in una delle nostre telefonate domenicali, cambiando improvvisamente discorso, mia madre mi raccontò un’inedita storia familiare che né io, né mio padre avevamo mai conosciuto. Ascoltai in silenzio il suo racconto di quella domenica particolare di ordinaria lotta politica nella Martina del tempo ancora divisa, malgrado l’avvento del fascismo al potere, fra le due irriducibili fazioni di krumiri e di pipistrelli.
Quel che segue, dunque, è il racconto di mia madre cui ho soltanto aggiunto alcuni piccoli dettagli per precisare meglio il contesto storico in cui si svolsero i fatti.
Ma, procediamo con ordine. L’estate del 1924 Martina Franca registrò una lunga, accesa e violenta campagna elettorale in vista delle elezioni amministrative programmate per il 27 luglio. Alla vigilia del voto, per protesta contro il prefetto e gli apparati provinciali dello Stato apertamente accusati di avere, in violazione delle leggi, favorito in maniera sfrontata la lista ispirata dai pipistrelli (che per opportunismo si erano, per primi, allineati al nuovo governo fascista) i krumiri ritirarono la loro lista. E così, senza più avversari, i pipistrelli vinsero facile e conquistarono il comune di Martina Franca. Il rancore dei krumiri, come in una sorta di tossico fiume carsico, continuava però a scorrere in attesa dell’occasione propizia per venire allo scoperto e placare la sete di vendetta.
Ma anche a livello nazionale la situazione politica era molto agitata. Infatti, all’indomani del rapimento del deputato socialista unitario Giacomo Matteotti,  l’opposizione parlamentare democratica, uscita dall’Aula per protesta e riunitasi nella Secessione dell’Aventino, aveva subito apertamente accusato alcuni membri del governo e del partito fascista di essere, a vario titolo, collusi con i rapitori. Al tempo stesso i pochi giornali antifascisti rimasti continuavano, con grande coraggio, a denunciare arbitrii e illegalità, alzando sempre più il tiro fino a lambire lo stretto entourage di Mussolini. La mattina di sabato 16 agosto1924 furono ritrovati i poveri straziati resti dell’onorevole Matteotti malamente sepolti nella macchia della Quartarella (vicino Roma). Quando la notizia si diffuse una ondata di sdegno percorse tutta l’Italia e non mancarono manifestazioni di protesta.
Anche a Martina Franca la tensione esplose. I krumiri colsero subito l’attesa occasione per scendere in piazza e, cavalcando l’ondata di sdegno antifascista, ne approfittarono per mettere nel mirino della protesta soprattutto la nuova amministrazione guidata dai pipistrelli. E così domenica 17 agosto 1924 il corteo di protesta dei krumiri, dopo aver sfilato per le vie della città, raggiunse il Palazzo del Comune, all’epoca in piazza Plebiscito, presidiata dai pipistrelli.  Lo scontro fisico fu inevitabile, duro, violento. Con un seguito prolungato di agguati e di fitte sassaiole contro le finestre di abitazioni e botteghe degli avversari per sfascia i lastrér secondo una consolidata prassi politica martinese.
Mio nonno materno Angelo Raffaele Speciale, un provetto “vignarolo” (citato da Sante Ancona nella poesia “La grandezza degli umili” dedicata ai lavoratori martinesi) aveva appena 25 anni ed era un attivo militante krumiro per scelta e per nascita (suo padre Domenico era un fedelissimo di Alfredo Fighera) e, naturalmente, quella domenica 17 agosto era in prima fila, in piazza, a fronteggiare i pipistrelli di gran lunga più numerosi e decisi a regolare definitivamente i conti con i loro avversari di sempre. Mio nonno Angelo Raffaele, “babbino” (come lo chiamava mia madre e come poi avremmo fatto anche noi nipoti e tutti gli altri parenti) ed i suoi compagni furono circondati e stretti dai pipistrelli contro il muro della Chiesa del Monte. Riuscirono però  a divincolarsi ed imboccare il primo vicolo a sinistra. A quel punto i pipistrelli si divisero: una squadra si lanciò all’inseguimento di mio nonno lungo via Cirillo; un’altra squadra andò direttamente sotto casa a sfascia i lastrér. All’epoca mio nonno con la sua famigliola (nonna Grazia di 25 anni, mia madre di sei e la sorellina Antonia di due, che sarebbe scomparsa qualche tempo dopo per una grave malattia) abitava a via Trieste, angolo via Trento, giusto sopra a quello che oggi si chiama “Antico Forno Angelini”. Giunti a casa Speciale i pipistrelli, minacciando un assalto, cominciarono subito un nutrito lancio di sassi contro i vetri, sotto lo sguardo atterrito di mia madre. L’insolito trambusto aveva attirato l’attenzione dei fornai di sotto che, avendo intuito la pericolosità della situazione, immediatamente, si erano precipitati  per strada urlando, come in una sorta di grido di battaglia, all càpr, all càpr, all càpr. I coraggiosi fornai brandendo le loro lunghe pale, fatte abilmente roteare ad altezza d’uomo, riuscirono a disperdere gli assalitori e a creare un varco a mia nonna Grazia che, tenendo la piccola Antonia in braccio e stringendo  con la mano destra quella di mia madre, era subito corsa fuori dirigendosi verso via Mercadante, per rifugiarsi a casa di suo padre, Vito Basile detto Vitòn per la sua imponente stazza. Dal suo canto Vito Basile, avuta notizia degli scontri in piazza, aveva subito mandato in soccorso del genero i suoi giovani figli, alti e grossi come lui: Faele e Giovanni Vitòn (quest’ultimo sarebbe poi diventato un popolare militante del Partito comunista, cui era spesso affidato l’onore di portare, nei cortei del Primo Maggio, la Bandiera rossa della Sezione martinese). La nonna, mia madre e la sorellina erano state accolte da Vito Basile che, come un gigante, si era piazzato sulla porta di casa impugnando un grosso bastone pronto all’uso. Intanto all’altezza di Largo Buonarroti, Faele e Giovanni erano miracolosamente riusciti a intercettare mio nonno che, nel frattempo, era stato raggiunto e di nuovo circondato dai pipistrelli. Menando micidiali fendenti di šcrujèle i due fratelli Vitòn si aprirono un varco e, raggiunto mio nonno, lo portarono al sicuro in casa di amici fidati.
 Solo a tarda notte, quando a Martina era finalmente tornata la calma, mio nonno, recuperata la sua famigliola, fece ritorno alla casa di via Trieste. Non appena entrati, mia nonna Grazia, che per tutta quella domenica particolare non aveva mai dato segni di cedimento, né aveva detto una parola, finalmente sbottò, costringendo mio nonno a giurare solennemente di chiuderla lì e lasciar perdere la politica. E nella nostra famiglia di quella domenica non si parlò più… per almeno novant’anni.
 


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