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Chiamatemi Don Ciccio

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

13
APR
2012

 

Lo sapevate che Taranto è una delle scene più importanti della musica reggae in Italia? Ce lo dice Ciccio Grassi, detto “Don Ciccio”, che ha fatto della musica il suo lavoro, ma anche lo strumento per approcciarsi alla vita, alla politica, all’amore
 
Un’idea, tanti stimoli da e verso l’esterno, ma soprattutto una passione che li accomuna; tutto questo ha fatto nascere l’unione tra Ciccio Grassi, detto “Don Ciccio” e tanti artisti, oramai famosissimi, come la giovanissima tarantina Mama Marjas, che si è esibita lo scorso sabato al Gabba Gabba a Lama nel suo “Mama Marjas showcase”. Lo spettacolo fa parte di un tour che sta conquistando tutta l’Italia, partito l’estate scorsa  dall’ultimo album “90”, che Ciccio, cantante dj e produttore della Love University records, ha prodotto per l’artista. La cosa bella e particolare dello spettacolo è stata proprio l’unione dell’estro dei vari artisti sul palco, il dj e produttore con le sue compagne di viaggio e di “etichetta”: Kykah, una grandissima voce soul che lo accompagna da un po’ di tempo, poi un’altra “nostra sorella” –come la definisce Don Ciccio- Sista Kinky, anche lei con lui da tantissimo tempo, e ancora Miss Mykela, un’altra grande cantante salentina, e in più, la ballerina coreografa, la “dancehall queen”, come si dice in Jamaica, Alevanille, una delle ballerine di danze jamaicane più importanti in Italia e in Europa. Prima dello show, le selezioni musicali con dischi originali in vinile della crew dei “feed your roots”, già conosciuti grazie alle serate del giovedì sera sempre al Gabba Gabba, un gruppo di dj tarantini uniti dalla musica reggae, e appassionati soprattutto dei classici del reggae e delle fondamenta della musica jamaicana, 50 anni or sono. Solo Don Ciccio può spiegarci meglio.
Qual è lo scopo dello spettacolo?
«Lo scopo condiviso un po’ da tutti, dall’artista  e dalla  “Love university records”, è quello di ripercorrere tutti i rivoli in cui si dipana la black music in generale, perché quello che a noi piace fare, il messaggio del nostro lavoro, è esplorare territori legati alle musiche che hanno la loro origine in Africa, oltre alla diaspora dei neri con i 400 anni di schiavitù che li hanno condotti, gioco forza, fuori dal loro Paese. Da questa  situazione si son create diverse musiche, a seconda dei territori in cui gli africani sono arrivati; per esempio in America è nato il gospel, il soul, il funky e l’hip hop, in Jamaica è nato il reggae, in Brasile la samba, a Trinidad la soka music, la salsa e il merengue a Cuba.»
Quali sono stati i tuoi stimoli?
«Io provengo dalla musica reggae, son 25 anni che la suono e la produco. Ho cominciato a fare reggae nel ‘90, gli anni in cui questo genere musicale è nato e si è sviluppato in Italia; prima si conosceva solo Bob Marley, poi i ragazzi si sono innamorati della dancehall jamaicana, quindi di tutte le nuove sonorità digitali, fatte col computer e tutte da ballare. I primi anni del reggae erano molto politicizzati; negli anni ‘90 c’era un movimento di occupazione delle università, che si chiamava “La Pantera”, in seguito molti di noi hanno scelto di fare politica attraverso questa musica, così ho fondato un gruppo che faceva hip hop, e subito dopo il primo sound system, il “vibra sound”, uno dei primi sound system italiani a Bologna. Successivamente ho cantato con Papa Riky nel suo disco, e infine ho scelto di non cantare più e di fare il dj. Da lì ho cominciato a suonare da solo, decidendo di andare a vivere a Londra per 5 anni. Nel 2005 tornato a Taranto, ho fondato questa etichetta, “Love University records” (www.loveuniversityrecords.com, n.d.r.).»
Interessante, parliamone…
«Per me e per tutti noi rappresenta una famiglia, con la volontà di produrre reggae di qualità e di valorizzare sia artisti affermati, che nuovi talenti ancora da scoprire. Da subito accanto a me Fido Guido, Mama Marjas, Papa Gianni (Sud Sound System) e jazzisti come Patrizia Conte e Antonio Galasso. Nasce dalla passione che mi trascino da Londra, di fare della musica reggae dedicata anche alla musica soul; non  rifiuto accanto a una canzone d’amore, una più forte basata sul sociale. La love University records si occupa della vita, la vita è politica, è amore e molto altro ancora. Nel 2005 la nascita dell’etichetta coincide con la produzione di un disco, dal nome “Love university” che dà il nome all’etichetta appunto. Dopo questo, e anni di lavoro, è avvenuto l’incontro con Mama Marjas, nel 2009 ho prodotto il suo primo Cd  “B-Lady”, che è stato il suo successo underground, un successo che non ci aspettavamo, grazie al quale abbiamo percorso tutta l’Italia. Subito dopo c’è stato il suo secondo disco, “90” che è uscito l’anno scorso, in cui ci sono diverse influenze musicali, il reggae, il soul, l’hip hop, la soka e tanto altro.»
Si può dire che hai portato il reggae a Taranto, come è stato recepito?
«In quegli anni vivevo a Bologna e sono stato sicuramente il primo tarantino a portare qui il reggae, facendo nascere il sound system sisma sound; mi muovevo  tra Bologna e Taranto, soprattutto nei primi tempi. A Taranto il seme si è ben piantato, tale da diventare una delle scene più importanti della musica reggae in Italia, non secondaria a quella del Salento. Grandi nomi e artisti sono usciti dalla scena tarantina, per non parlare dei diversi dj pop e reggae che sono nati qui, ma vivono altrove; la musica reggae è sicuramente quella delle nuove generazioni, ed è prettamente pugliese. Inizialmente ci guardavano come dei marziani, poi, dalla prima serata nel ‘91 alla Baia del Pescatore, sono stati fatti passi da gigante e si sono aperte le porte di discoteche e locali in genere. Lamento il fatto che a fronte di questi grandi artisti reggae a livello nazionale, come Mama Marjas e Fido Guido, non ci sono posti dove poter suonare; c’era il Cloro Rosso, ma l’hanno ingiustamente chiuso e ripeto, a fronte di tutto questo, c’è un silenzio tombale da parte delle istituzioni, perché non si considera la musica come aspetto di crescita della città.»
E quindi come fai? Suoni fuori nei finesettimana?
«Sì, perché non ci sono posti adeguati per organizzare eventi importanti, né per ospitare artisti e musicisti internazionali, come avviene nelle altre città. Penso che la cultura sia sicuramente un museo, ma anche il cinema, la fotografia, la musica lo sono, e questa città non lo capisce. Il Gabba ha un unico problema, di non poter ospitare oltre le 300 persone, a fronte di 1200 che solitamente riusciamo a raggiungere. L’ostacolo fondamentale secondo me, sta nel tappo economico, politico, culturale, che ha avuto e che continua ad avere la Grande Industria sulla città di Taranto.»
Come vedi il futuro per questa città?
«Il futuro è nelle mani dei ragazzi, che devono rimboccarsi le maniche e spodestare queste generazioni con grinta e consapevolezza.»
Progetti futuri?
«Grazie alla Regione Puglia e Puglia Sounds che dà un supporto al settore musicale pugliese, abbiamo vinto il bando “Principi Attivi”, con il quale abbiamo realizzato un album in cui canteranno Mama Marjas e Miss Mykela, e un docufilm sulla nostra e la loro storia. L’album, "We Ladies”, è la visione del mondo da una prospettiva femminile, di queste due artiste del sud Italia che scelgono di fare della musica la loro vita, e già questa situazione è dirompente in un luogo come questo. Il lavoro si arricchisce con uno dei produttori della musica reggae mondiale, Adrian Sherwood, che è stato il responsabile delle musiche dell’album. Uscirà il 2 giugno con una prima nazionale che si terrà a Bari il 12 luglio nell’ambito del festival “L’acqua in testa”: sul palco avremo un show di tutte donne metà italiane e metà anglojamaicane. E’ un progetto metà italiano e metà internazionale, alla luce del fatto che utilizziamo nei testi l’inglese e l’italiano, ed è molto importante per noi perché potrebbe farci crescere ancora di più a livello nazionale.»


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