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LUCA PITTERI/ E invece è capitato proprio a me

Pubblicato da: Categoria: EVENTI

15
MAR
2013

 

L’insegnante di canto più famoso della tv deve molto ad “Amici”: non solo la popolarità, ma anche una moglie. In un momento in cui tutto sembrava essere difficile, lui ha accelerato in curva, si è sposato ed è anche diventato papà
 
Martina Franca è la sua seconda casa, anche se di seconde case ne ha parecchie dato che il suo lavoro lo porta continuamente in giro. Conosciuto e amatissimo dal grande pubblico, grazie soprattutto al successo di “Amici”, Luca Pitteri è l’insegnante che tutti vorrebbero avere. E fortunatamente, anche i martinesi possono sperare di essere fra i suoi allievi. Da diversi anni, infatti, collabora con la scuola “Mousikè”, un centro di attività e di formazione musicale di altissimo livello, da tempo fiore all’occhiello del nostro territorio. «Almeno una volta l’anno organizziamo degli stage collettivi, a volte anche corsi di lunga durata» racconta il maestro Pitteri, mentre mi accoglie all’interno della sala. Una persona dotata di grande cultura e ottimo senso critico, nonché un eccezionale senso dell’umorismo. Amichevole, simpatico e carismatico, si racconta per i lettori di Extra, parlando del suo punto di vista su musica e televisione, dei suoi sogni e di quel dono inaspettato che gli ha cambiato la vita.
 
Lei è musicista, pianista e direttore artistico, tra le altre cose. Tuttavia è conosciuto prevalentemente per il ruolo di insegnante, soprattutto grazie ai programmi televisivi che Le hanno dato una certa notorietà. Le dispiace?
«Da un lato sì, dall’altro non posso dire che mi dispiaccia sul serio poiché posso solo ringraziare per l’immensa fortuna che ho avuto. Anzitutto l’esperienza sul piccolo schermo mi ha cambiato la vita, da tutti i punti di vista. E inoltre, la televisione, pur con tutti i suoi difetti, ha questo potere di concedere alla mia figura la possibilità di dire quello che penso con una credibilità immensa. Vedo molti miei colleghi, altrettanto in gamba, fare tanta fatica a farsi ascoltare dai loro allievi, i quali hanno una cultura tutta loro. È già difficile per me che vengo, come dire, rivestito un po’ da quest’aura donatami dalla televisione, figuriamoci loro. Nonostante la grande competenza a volte sono costretti a lottare per far valere i loro metodi e far comprendere il loro modo di insegnare. Per quanto concerne me, invece, il mio ruolo di insegnante è nato proprio nei programmi televisivi. Io non avevo mai insegnato canto, prima. Lo avevo studiato, e molto; per circa otto o dieci anni ho fatto il cantante in un coro lirico di altissimo livello; ma fondamentalmente avevo un coro gospel: mi appassionava questa vocalità di assieme moderna».
 
E come è arrivato ad “Amici”?
«Una volta un file mp3 finì nel computer di un collaboratore del M° Beppe Vessicchio, che per pura fatalità cercava appunto un coro gospel. L’anno prima aveva collaborato con un coro americano che si era rivelato disastroso. Dunque quando ha sentito noi ci ha contattato per il programma “Note di Natale”. Da lì è nato un grande rapporto di simpatia e di stima reciproca con Vessicchio, il quale un paio di anni dopo mi chiamò per fare l’insegnante ad “Amici”».
 
È stato l’insegnante più amato dal pubblico, ma poi ha lasciato il programma prima che si trasformasse esclusivamente in una lunga diatriba fra i docenti.
«Eh già. Avevo subodorato la piega che stava prendendo e me ne sono discostato. Ho un carattere irruento e probabilmente ho sbagliato in alcune occasioni; avrei potuto agire diversamente perché godevo di molta stima. Ma avevo avuto un po’ l’impressione che la nostra figura di insegnanti venisse in qualche modo strumentalizzata a favore di quegli espedienti che portano a spettacolarizzare la trasmissione. E non mi è andato più bene, naturalmente. Sono ben consapevole dei compromessi che si devono fare per far andare bene un programma, ma così mi sembrava troppo».
 
Sempre in ambito televisivo Lei ha insegnato sia a ventenni che a bambini. Recentemente infatti è stato il vocal coach nella trasmissione “Io canto”. Quante e quali differenze ha trovato nel rapportarsi a età così diverse?
«Ho trovato differenze abissali. In realtà, si potrebbe pensare che sia più facile trattare con ragazzi più grandi, poiché sono già acculturati e quindi più capaci di percepire gli insegnamenti. In pratica però non è stato affatto così, perché gli studenti di “Amici” venivano, nella maggior parte dei casi, con il preciso intento di diventare famosi. I primi anni è stato diverso, perché il programma era una novità. Ma i ragazzi degli anni successivi, avendo già avuto modo di constatare il grande successo e l’immensa popolarità che la trasmissione forniva, erano decisamente più determinati a sfruttare quest’occasione. E infatti, già dal quarto anno, ho cominciato ad avere problemi poiché incontravo delle resistenze e ogni mio intervento didattico finiva con il non essere percepito nel giusto modo. Da lì i primi piccoli scontri, sui quali naturalmente l’obiettivo della telecamera ha puntato immediatamente l’attenzione. Ma erano scontri reali, nati proprio da dinamiche umane che entravano in collisione a causa di idee diverse».
 
E con i bambini?
«Con i bambini invece è stata una sorpresa, perché ho scoperto tutto un mondo che mi ha affascinato. I bambini hanno una capacità di reazione, anche emotiva, straordinaria. Più grande di molti adulti. Sono perfettamente in grado di recepire ogni consiglio o aiuto didattico, pertanto da quel punto di vista utilizzo più o meno gli stessi metodi».
 
A tal proposito, l’esistenza di trasmissioni dedicate a fasce d’età così giovani ha scatenato più di qualche polemica. Si è parlato addirittura di strumentalizzazione della figura del bambino. Lei cosa ne pensa?
«L’importante è che non vengano strumentalizzati in maniera volgare, cosa che non penso affatto. Ai bambini viene data una grande opportunità, che è quella di fare un’esperienza di formazione significativa. Noi non promettiamo loro una carriera in quel campo; il fatto che alcuni poi vogliano intraprendere quella strada anche da grandi dipende da una loro scelta. Inoltre penso che l’età sia relativa. In epoche passate abbiamo avuto dei sovrani quattordicenni che hanno governato Stati interi, o compositori che prima dei dieci anni avevano scritto capolavori. Dunque non è detto che siano troppo piccoli per cantare. Il mondo interiore dei bambini è molto più ricco di quanto pensiamo. Spesso ho sentito alcune contestazioni sul fatto che noi avessimo scelto di far cantare a dei bambini canzoni come “Quando finisce un amore”, in quanto il testo parla di cose che solo un adulto può aver provato. Tuttavia è sbagliato pensare che il bambino non sia in grado di comprenderlo. La sofferenza o l’esperienza della perdita l’ha provata sicuramente anche lui, magari per un giocattolo. Ma l’intensità dell’emozione può essere facilmente rapportabile a quella di un adulto che soffre le pene d’amore. Per noi “grandi” le due cose hanno valori ben diversi, ma per i piccoli non è così. E poi, le polemiche. Beh, io credo che se si volesse fare obiezione, si potrebbe farla su qualsiasi cosa, talent compresi».
 
Ecco appunto. Parliamo dei talent.
«A tutt’oggi non si è ancora capito se siano i talent a servire ai ragazzi o viceversa. Il talent ha un format che funziona molto; ma nel momento in cui quell’“uno su mille ce la fa” – come dice la canzone – si sta lì a chiedersi se ce l’abbia fatta esclusivamente grazie ai suoi meriti oppure anche attraverso altre dinamiche. Non voglio affermare nulla, ma alla luce dei fatti ci sono dei dati che fanno riflettere. Per esempio, come mai solo dopo sette anni i vincitori di “Amici” hanno avuto un successo enorme? Nei primi anni non si otteneva tutto quel riscontro; dunque non si può fare a meno di chiedersi se la concorrenza di X Factor non abbia determinato una tale ascesa del vincitore di turno. Si sono create, io penso, delle dinamiche di reciproca necessità fra la televisione e le case discografiche e il resto è venuto di conseguenza. Soprattutto in un momento di grande crisi per quest’ultime – le quali hanno visto il loro ruolo sempre più minacciato dall’avvento delle nuove tecnologie che permettevano in men che non si dica la masterizzazione dei cd –, questa unione con i programmi televisivi di maggior successo ha giovato moltissimo».
 
Dunque i talent show sono rimasti gli unici mezzi per fare scouting?
«Questo è quello che vorrebbero farci credere. In realtà non è così; basta prendere in considerazione Malika Ayane, Tiziano Ferro o Elisa, i quali vengono da tutto un altro genere di formazione. Parliamo però di artisti di tutt’altro spessore: con tutto il rispetto per i ragazzi dei talent, come Marco Mengoni, Alessandra Amoroso o Emma, mi chiedo quanto nel corso degli anni riusciranno ad affermare la loro personalità. I casi di Ferro o di Elisa, invece, sono tutta un’altra storia: hanno trovato da subito il loro stile, la loro strada creativa che li ha resi immediatamente identificabili».
 
A proposito di questo, non posso fare a meno di pensare che Sanremo, che è terminato da poco, negli ultimi anni è stato vinto solo da ragazzi usciti dai talent. Come se lo spiega?
«Ci sono due spiegazioni. La prima è che i programmi televisivi cercano di agevolarsi fra loro. Come si suol dire: una mano lava l’altra. Ma è anche vero che essendo prodotti televisivi, godono di una popolarità data dal pubblico, che è sempre quello. Se ci pensiamo un po’ su, non è che voti poi tanta gente. Votano sempre gli stessi, ossia quelli che guardano i talent e che quindi anche a Sanremo sostengono il loro beniamino. L’equazione è naturale».
 
A dimostrazione di quanto la tv punti alla spettacolarizzazione vi è proprio l’esempio di Elio e le Storie Tese, i quali sono ottimi musicisti, ma spesso puntano sulla simpatia, sullo show.
«Ecco, loro a mio avviso hanno fatto ciò che piacerebbe fare anche a me. Sono diventati il punto di contatto fra contenuto e comunicazione, il tramite fra la musica di qualità e lo spettacolo che inevitabilmente acquista consensi. Così come Stefano Bollani, un grande pianista, un jazzista strepitoso che a differenza dei suoi colleghi gioca a non prendersi sul serio, ironizza su se stesso e questa cosa lo porta a essere più amato, più ascoltato. Solitamente i grandi musicisti si chiudono un po’ in un circolo privato e rimangono elitari, non hanno presa sul pubblico. Essere il punto trasversale tra il contenuto di spessore e la facilità di comunicazione è il mio obiettivo. Mi piacerebbe riuscire a trasmettere la bellezza della musica classica con un linguaggio vicino al grande pubblico».
 
Il canto è più tecnica o più emozione?
«Il canto è una forma di espressione artistica, e come tutte le forme di espressione necessita di una profondità, di una sensibilità e di un desiderio di comunicazione. Ma anche di una consapevolezza del linguaggio. Se decidessi di fare poesia, non mi basterebbe mettere quattro parole a caso insieme, avrei bisogno di conoscere i meccanismi linguistici, per poi far trasparire attraverso di esse le mie emozioni. Il canto, a differenza del pianoforte per esempio, è sicuramente più istintivo. È molto ricorrente vedere alcuni ragazzi che per imitazione, istintivamente, arrivano a una percezione tecnica elevata. Con il pianoforte invece non è possibile. Guarda caso, non esistono in televisione talent rivolti ai pianisti. Lo spettatore non si identificherebbe, come invece accade con i cantanti. C’è una sorta di immedesimazione che fa in modo che il programma sia così seguito».
 
Abbiamo parlato a lungo di tutte le polemiche che vengono fatte su programmi come “Amici”. Però, è anche vero che a Lei qualcosa di buono l’ha portato, soprattutto nella vita privata…
«Eh sì, ho trovato l’amore. Ho conosciuto Brigida, un’allieva della quinta edizione di “Amici”. Una cantante straordinaria, con materiale umano, tecnico e artistico molto elevato. E adesso è mia moglie, oltre a essere la madre di mio figlio Gioele.»
 
È diventato papà?
«Quattro mesi fa. Fino a pochi anni fa non avrei mai pensato potesse accadermi una cosa del genere: ero una persona che amava stare sola. E invece ho conosciuto innanzitutto una persona straordinaria con delle caratteristiche così adatte a me che mi ha colpito immediatamente. E poi, è arrivata in un momento difficile per me, poiché avevo scoperto di avere una grave malattia, e lei mi ha assistito rimanendo poi al mio fianco. Non pensavo, a causa della chemioterapia, di poter avere figli, o comunque mi avevano avvertito che sarebbe stato difficile. E invece qualche tempo dopo è nato il mio bambino ed è stato un dono, davvero. Un regalo inaspettato».
 
Che tipo di papà è?
«Sono affettuoso, ma poco paziente. Quando comincia a piangere lo do subito a mia moglie, che è una mamma nata. È perfetta».
 
Immagino che in casa sia tutta una musica.
«Infatti. Credo che lui sarà un predestinato. Brigida canta sempre, io lo avvicino in continuazione al pianoforte. Di sicuro svilupperà un certo orecchio, dubito che verrà fuori stonato. Ma questa immersione nella musica può portare a due conseguenze ben distinte: o la abbraccerà appieno diventando anche lui un cantante o un musicista, oppure la prenderà talmente a noia da volersene distaccare.»
 
È vero che stai scrivendo un libro?
«Sì, è un libro sul canto moderno, che vorrebbe essere l’insieme di tutte le mie esperienze e conoscenze per poi abbandonare questa strada e cercare di dedicarmi di più a suonare, scrivere e dirigere. Vorrei, insomma, occuparmi più di me stesso che dei miei allievi, finalmente».
 
È questo dunque il Suo prossimo progetto?
«Come ho detto vorrei dedicarmi più a me. Conto di riservarmi un lungo periodo per scrivere. Sogno di scrivere un musical da diverso tempo, ma non ho mai avuto modo. Inoltre, tutti i giorni passo qualche ora al pianoforte poiché spero di potermi dedicare ai concerti classici. E per ultimo, vorrei fare il direttore d’orchestra: mi piacerebbe usare l’orchestra per fare delle lezioni di concerto. Con l’esperienza della comunicazione televisiva, spero di riuscire ad avvicinare il pubblico alla musica classica, vorrei farla comprendere alla massa. Ecco, mi auguro di poter fare questo».
 



Commenti:

Livio el postino 23/DIC/2013

Ciao luca ho letto la tua storia ti conoscevo ma adesso ti conosco meglio non posso che dire a ti si on grande.ciao livio el postin

Diana 2/APR/2013

Ti ho sempre visto come una persona speciale e un grande maestro e non mi sono sbagliata..grande Pitteri.

Giusy Mosca 2/APR/2013

Con stima.

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