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Istantanee /Dare vita alla memoria

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

19
GEN
2017

I trecentotrentacinque civili e militari massacrati erano tutti uomini, ma centinaia furono le donne colpite dall'orrore delle Fosse Ardeatine. Di quella terribile pagina della nostra storia, tante madri, figlie, partigiane, amiche, sorelle furono le protagoniste silenziose, chi nel dolore, chi nella lotta, chi nel rimboccarsi le maniche per mandare avanti la famiglia
 
Sei sedie vuote, diverse, equidistanti. Sono lì, sul palco del Teatro Verdi che ha dato inizio alla Stagione di Prosa 2017di Martina Franca in collaborazione col Teatro Pubblico Pugliese, sono lì e attendono sei donne diverse per età, per carattere, per scelte di vita, accomunate dallo stesso destino, da una sorte crudele, da una guerra insensata, da un dolore lacerante, che non conosce tregua.
Prendono posto in silenzio, complice il buio e una alla volta tirano fuori le loro storie, con un ritmo incalzante, incurante di ogni norma di recitazione, senza pause o intonazioni particolari, perché stasera non si porta in scena un testo teatrale, qui non c’è nessun copione, qui è la vita che parla, qui si da voce a un dolore lancinante quello dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, cominciato quel lontano 24 marzo del 1944, ma ancora così vivo, così vicino, così straziante.
Mentre raccontano sembrano prendere vita quelle pagine di storia lette, studiate e forse mai emotivamente comprese abbastanza. Ora tutto diventa più chiaro, luoghi: via Rasella; nomi: Bentivegna, Calamandrei, Salinari e compagni che prendono volto, che paiono sollevarsi dalle ingiallite carte e si animano.
Parlano e io le guardo, sono fisicamente diverse, ma hanno nel cuore inciso “quel massacro eseguito in silenzio”, “quella guerra impari” ela convinzione che “la vita è stata tutta un’illusione”.
E’ la voce delle madri, delle figlie, delle mogli, tutte “orfani perenni” da quel giorno infausto, da quell’evento, dalle “fosse ardeatine”.
“Trecentotrentacinque ammazzati, giovani mandati allo sbaraglio, per combattere una guerra persa in partenza”.
“Mi sono ritrovata vedova dopo soli tre mesi di matrimonio, poi? Poi ho lavorato e sono stata zitta.
Al processo? No, non ci hanno fatto entrare e così per l’opinione pubblica le vedove erano assenti!”.
C’è un silenzio irreale in platea, c’è una partecipazione che cancella i tantissimi  anni che ci separano da quei giorni.
Manca pochissimo alla “Giornata della Memoria”, le scuole organizzano, gli alunni ricercano, leggono, studiano, recitano…  “Commemorazioni, rituali, testi scritti, retorica, tanta retorica”.
“A tutti i giovani d’oggi vorrei dire – voi potete parlare, potete esprimere liberamente il vostro pensiero, perché mio padre è morto!”.
E’ un crescendo, su palcoscenico è un susseguirsi di nomi, storie, vissuti, valori, bisogni, idee, ideologie, rabbia, tanta rabbia.
“Dopo 30 anni da quel giorno vidi per la prima volta le lacrime sul volto di mia madre - fin ora non ho avuto tempo, ora posso piangere”.
Sei sedie, sei donne, cappotti da uomo appesi, sospesi,  in alto, molto in alto e poi una voce inconfondibile: Gabriella Ferri… “Ognuno ha tante storie, tante facce della memoria… tanto buio… tante passioni… tanto silenzio”… rotto solo dagli scrocianti applausi che il pubblico tributa alle bravissime attrici: sei donne che hanno fatto memoria senza retorica alcuna.
 



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