MENU

Il racconto/VILLA AL MARE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

24
LUG
2015
Odiata da lei, amata da lui. E poi i parenti, il caldo, gli ombrelloni e una storia che è quella di tante famiglie
 
 
Quando nostro padre richiuse la porta, dopo averlo svegliato e detto qualcosa, mio fratello Giulio di quel monologo aveva afferrato solo tre concetti: 1) Doveva alzarsi per aiutarlo a portare le masserizie alla villa; 2) Il trasloco non era per domani, ma quella mattina; 3) Le scuole erano chiuse e pertanto da quel giorno papà sarebbe stato sempre a casa. Terminata quella intorpidita riflessione mio fratello si aggiustò il cuscino sotto la testa e si rimise a dormire e con nostro padre dovetti andarci io.
Ogni anno, appena finita la scuola, ai primi di giugno, mio padre comincia a smaniare per trasferirsi subito alla villa al mare. Da prima fa avanti e indietro da solo per seguire i lavori di tinteggiatura, pulizia e per guardare sospettoso il giardiniere mentre pota le siepi e il roseto, o coglie le albicocche che il buon uomo non dimentica mai di portarsi via. Fin quando i lavori perdurano a mia madre risulta relativamente semplice trovare scuse per non accompagnarlo, ma quando sono terminati e alla villa tutto è ormai in ordine, per lei cominciano le difficoltà e allora ricorre agli stratagemmi di sempre: “No. Oggi no, devo andare a fare compere. No. Domani nemmeno, mi aspetta la sarta e poi l’estetista. No. Oggi è sabato, non se ne parla, lo sai, ho appuntamento con il parrucchiere”. Verso il venti del mese, comunque, in casa è tutto uno sbuffare: mio padre sbuffa, dando ormai segni di crescente insofferenza, mia madre sbuffa, capendo che ormai le sue resistenze stanno scricchiolando e le cose si complicano. Io e mio fratello, benché la battaglia fosse già stata vinta qualche anno addietro e pertanto il trasferimento non ci tocca più di tanto, sbuffiamo perché ancora non si decidono a lasciare libera la casa di città.
La villa è stata acquistata quando io e mio fratello eravamo ancora piccoli e mio padre è ancora convinto di non aver mai speso meglio i propri soldi. Mia madre, al contrario, si continua a lamentare e ribadisce che è stato un sacrilegio buttare tutto quel denaro per una casa al mare che si sfrutta si e no tre mesi l’anno. Ma quello che le brucia di più è che da quando è stata acquistata la villa non hanno più fatto un viaggio. Da anni ormai non vanno più da nessuna parte. “ In Sardegna? Ma se abbiamo il mare più bello del mondo. Guarda. – Visitare città d’arte d’estate? Ma scherzi, con questo caldo. – In montagna? Ma cosa dici? Non vedi che vengono tutti qui per godersi il mare e tu vorresti prendere il loro posto in quelle nebbiose località del nord?” Queste sono le frasi che puntualmente, da anni, mia madre si sente rispondere e se insiste, anche per un’uscita di soli pochi giorni, papà non risponde nemmeno e mugugnando esce ad annaffiare i fiori che il giardiniere ha interrato e che lui immancabilmente vede appassire sotto i propri occhi. Ma a nostra madre quella casa a schiera, con due cariole di terra ai lati del muretto di cinta, che nostro padre si ostina a chiamare giardino, proprio non la sopporta più. Non sopporta nemmeno l’ambiente, il vicinato. E in spiaggia ci va sempre meno. La mattina presto no, perché persiste ancora quel fastidioso freschetto e l’umidità della notte non è ancora svanita; in tarda mattinata nemmeno, perché fa troppo caldo e la spiaggia intanto si è affollata. E poi le chiacchere da ombrellone, quanto le danno fastidio. Ma soprattutto non sopporta quelle comitive e famiglie che, calate da chi sa dove, si piazzano davanti al suo ombrellone, impedendole di vedere il mare. Quando arrivano, dice, si riconoscevano subito, perché hanno la pelle così bianca, come il latte, che sembrano tutti degli anemici cronici e quando ripartono, invece, hanno tali ustioni sulle spalle e sul naso da dover passare prima dal pronto soccorso. E poi sentirli parlare quell’odioso, incomprensibile dialetto: “Eih Ven chi bagaj. Miga va’a ciapà i ratt”, che gli fa sembrare tanti extracomunitari del nord coreano, ma che per quanto tentino di camuffarsi, si capiva benissimo che sono nati e cresciuti nella città vecchia. E questo la irrita ancora di più. Allora spazientita si alza, chiude l’ombrellone e torna in villa. Perché proprio non ce la fa a restare lì e sentire quell’idioma così male interpretato, ma sicuramente del nord, o addirittura lombardo, come la lega. E poi la sera, tutta quella gente che appena incomincia ad imbrunire si presenta davanti al cancello: parenti, sino alla terza generazione, ascendente e discendente; amici di vecchia data o pseudo tali. Si presentano con al seguito figli, nonni, cugini e nipoti. “Per prendere un po’ d’aria fresca qui da voi che è così bello. Sapeste in città come si boccheggia”. Poi si accampano in giardino e non se ne vanno se prima non hanno svuotato tutto il contenuto del frigorifero e del congelatore. D’estate, immancabilmente, calano alla villa anche i genitori della ragazza di mio fratello. Per tutto l’anno le famiglie si ignorano discretamente a vicenda. Al massimo, se si incontrano all’ipermercato, si scambiano da lontano un cortese cenno di saluto e sotto le feste, se mio fratello le passa il cellulare, nostra madre invia loro dei frettolosi e slavati auguri. D’estate invece è tutto diverso. Si presentano sorridenti: “Buona seeera. Marta aveva voglia di una pizza e così abbiamo pensato di venire a mangiarla qui con voi. Con questo caldo è meglio stare all’aperto in villa che seduti a un tavolo vicino al forno a legna. Non trovate?” Sì, mia madre fa cenno di condividere, ma dentro si sente torcere le budella. Infatti la città dista solo sei chilometri dalla villa e l’altitudine è la stessa: quindici metri sul livello del mare. Ed anche la temperatura varia al massimo di un o due gradi. Poi perché è sempre lei a dover formare il numero del locale per farsi portare le pizze e doverle pagare. Quando invece si eclissano, senza dare segno di vita per qualche tempo, per mia madre è ancora peggio, perché sa che quando si ripresenteranno cominceranno a raccontare per filo e per segno, senza tralasciare nulla, il viaggio o la crociera che hanno appena terminato: “Bellissimo, guarda. Quindici giorni stupendi. Tempo magnifico e che posti incantevoli. Perché non lo fate anche voi un bel viaggio?” Ecco, quando iniziano questo ritornello, mia madre, immancabilmente, dopo aver dato una fulminante occhiata a nostro padre, trova una scusa e si va ad eclissare in cucina; fa scorrere l’acqua del rubinetto, tira fuori dalla credenza piatti, tazze, zuppiere, scolapasta e quant’altro e, piantando gli occhi sulle piastrelle che ha davanti, comincia a strigliare e strofinare nervosamente quelle incolpevoli e così pulite stoviglie che nemmeno i NAS dei Carabinieri avrebbero niente da eccepire. Ma non sopporta soprattutto la futura consuocera. Non lo dice apertamente, certo, ma è evidente che non la può soffrire. E la conferma la ebbi un giorno quando mi chiese perché Giorgio se ne stesse appartato e fosse così nervoso. Quando le risposi che da due giorni non si sentiva con la fidanzata, con Claudia, perché avevano litigato, lei, tralasciando quello che stava facendo, alzò gli occhi al celo e si lasciò scappare: “Lo volesse il cielo”. 
A settembre, quando la città si va rianimando, a mia madre torna il sorriso, il buonumore. Una volta a casa la sua vita finalmente riprende normalmente, con gli orari di sempre: per mio padre scanditi dalle ore che passa in classe e per mia madre da quelle che trascorre con le amiche, dal parrucchiere, dall’estetista, o nei negozi del centro. E se nostro padre torna a casa nervoso, lei non gli chiede nemmeno più il perché. Lo sa. Se interpellato le risponderebbe che queste nuove generazioni non si possono proprio più educare, istruire. E questo perché qualche alunno lo ha fatto talmente imbestialire che per poco non gli rifilava un sonoro ceffone. Mia madre lo sa, capisce e gli sorride, e per calmarlo basta che gli chieda se nel pomeriggio possono fare un salto alla villa: per dare un’occhiata, per vedere se tutto è a posto. Lui, come se avesse sentito un coro di angeli accompagnato da arpe celestiali, allora dimentica tutto e si rianima. Pranzano in fretta, poi papà prende le chiavi della macchina e quelle della villa e dice a mia madre: “Su, andiamo”.
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor