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Taranto/Giuseppe, che disegnava mulini

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

24
AGO
2012

 

L’Arciragazzi di Taranto si autofinanzia per portare avanti un progetto di supporto e di sostegno per i bambini malati e le loro famiglie, durante l’ospedalizzazione. Attraverso giochi e disegni, i piccoli pazienti vengono educati a non avere paura
 
A sostegno del progetto “Per un Raggio di Sole”, a cura dell’associazione di promozione sociale Arciragazzi Taranto, si è svolta in piazza Castello a Monteparano la II edizione della manifestazione “La moda ti fa bella”. Arciragazzi nasce a Taranto nel 1984 dalla intenzione di un gruppo di volontari che, sensibili alle problematiche educative, decidono di impegnarsi attivamente “per” e “con” i ragazzi. Da allora bambini e ragazzi, che vogliono vivere momenti di condivisione e partecipazione nelle attività di gioco e tempo libero, si sono uniti all’Arciragazzi. L’associazione in questione, da settembre 2008 con il progetto “Per un Raggio di Sole”, sostiene i bambini e ragazzi ricoverati presso  reparti di Oncoematologia, Pediatria e Microcitemia, offrendo ai piccoli ricoverati e ai loro genitori, uno spazio e un supporto psico-pedagocico, che attraverso il gioco aiuta i bambini a superare il trauma del ricovero e delle terapie. Gli operatori intervengono dall’esordio della malattia, fino alla sua completa remissione, spiegando ai bambini le terapie che dovranno affrontare, utilizzando il gioco o racconti di favole. Attraverso attività grafico-espressiva, il bambino esprime e comunica le sue emozioni, anche quelle più nascoste. Dai disegni dei bambini si realizzano ogni anno calendari, che vengono venduti per garantire la continuità del servizio. Nella sede dell’Arciragazzi a Taranto, Piazzale Bestat, Mariafranca Mastronardi, membro Arciragazzi, mi ha spiegato il contributo e il nobile gesto della sfilata che ha visto esibire i disegni dei bambini sulle magliette, oltre che la loro attività e l’importanza del progetto.
Come si è svolta la manifestazione?
«L’evento si è tenuto a fine luglio a Monteparano, nella piazza principale; la sfilata è stata organizzata da stilisti emergenti di Lecce, ma soprattutto da Giò Orlando stilista,  Mimmo Durante  parrucchiere, e il direttore artistico Pietro Marzullo, tutti e tre di Monteparano. Giò è anche un infermiere di oncologia a Taranto, che ha conosciuto me e Graziana Calò, vicepresidente Arciragazzi, nonché oncoematologa e psicologa, nel reparto di oncomatologia, e ha compreso l’importanza della figura dell’educatore in questi reparti particolari; siamo presenti anche nel reparto di microcitemia con Alessandra Macrì psicologa, in pediatria con Katiuscia Guarini e Ilaria Pavone. Il nostro progetto segue la finalità di dare un supporto psicopedagogico ai bambini  ricoverati in questi reparti, e naturalmente alle loro famiglie. Dall’esordio della malattia fino alla remissione totale, si spiega al bambino quali saranno le fasi che dovrà affrontare e le terapie connesse, anche quelle brutali come la chemioterapia. Il tutto si svolge attraverso il gioco che è lo strumento più vicino ai bambini, con bambolotti per esempio. L’attività che utilizziamo molto è quella graficopittorica, che diventa proprio un mezzo di comunicazione, attraverso il quale il bambino  riesce a esprimere tutte le sue emozioni, ansie e paure».
Da che cosa nasce l’idea di utilizzare il disegno come strumento di comunicazione?
«Rientra nel progetto “Per un Raggio di Sole”, il cui finanziamento è terminato nel 2008. Da allora abbiamo continuato nell’attività di questo progetto, così come voleva Giuseppe, la nostra mascotte, e la sua famiglia. Giuseppe era un bambino che si è ammalato di leucemia all’età di 2 anni e da allora lo abbiamo seguito sino alla sua scomparsa, a 7 anni. Il mulino a vento, che è diventato il simbolo del progetto suddetto, è il disegno che Giuseppe ha fatto nell’ultimo periodo della sua malattia, e i colori accesi rispecchiano esattamente la sua personalità; lui era un bambino diverso dagli altri, vivace, irruento, “faceva rumore ovunque fosse”, dicevano le infermiere del reparto, intelligente  e perspicace da saper leggere e comprendere un emocromo. Giuseppe ci chiedeva sempre di vendere i disegni di tutti i bimbi ricoverati, per poter finanziare il progetto e continuare a metterlo in atto. Non è nella nostra etica vendere i manufatti dei piccoli, ma dopo la sua morte, i suoi genitori  hanno insistito che i disegni si utilizzassero; è nata l’idea del calendario, che riporta tutti i disegni dei bambini fatti durante l’anno, ad esempio quelli che ritraggono la risonanza magnetica come un’astronave magica».
Loro chiedono perché devono essere sottoposti a quel tipo di esame?
«Certo! Rendiamo al bambino le motivazioni, spesso in presenza del medico che spiega perché deve effettuare  un esame così particolare; è importante che il bambino conosca quello che deve fare e quello che gli sta accadendo, perché purtroppo è il protagonista di quello che si appresta a vivere, non deve subire la terapia così come la malattia. A tal proposito, ringrazio anche i medici e gli infermieri che ci supportano nel nostro lavoro, essendo inoltre agevolati nel loro operato, perché un bambino preparato è anche un bambino più facile da gestire. I pazienti molto piccoli, presi in cura dall’educatore, vengono seguiti per tutta la loro infanzia e preadolescenza e la cosa molto bella è che i bambini cresciuti, di 20-25 anni, spesso chiamano il loro operatore per essere sostenuti. Ciò evidenzia il forte legame che si istaura tra l’operatore e il paziente, perché la malattia è sempre la stessa, ma il bambino è un individuo che cresce e può cambiare il suo stato d’animo o l’approccio verso questa».
Come si preparano gli operatori ad affrontare simili situazioni?
«All’interno della nostra equipe abbiamo anche una psicoterapeuta che segue le famiglie dei bimbi ricoverati e i nostri operatori. Anche loro hanno bisogno di essere supportati, perché quando un bambino non ce la fa a superare la malattia, l’operatore deve essere capace a gestire la situazione, malgrado sia dura. Si verificano dei periodi di stasi, dalla perdita del bambino alla ripresa delle attività da parte dell’operatore, in cui quest’ultimo, ha bisogno di acquisire una consapevolezza sempre maggiore per affrontare nuovi casi».
Quanti operatori ha l’Arciragazzi?
«Al momento siamo cinque operatori per il progetto “Per un Raggio di Sole”, e quindici in Arciragazzi».
Come si fa a diventare operatore Arci?
«Io sono entrata come volontaria, poi ho seguito un percorso di studio e formazione e dieci anni fa sono entrata a far parte di questo progetto. All’interno ho trovato tutte persone professioniste e preparate: psicologhe, psicoterapeuta, e chi ha fatto percorsi di formazione particolari come psiconcologia».
E’ difficile per voi affrontare questo percorso?
«Indubbiamente sì; noi abbiamo sempre lavorato con i bambini, ma al di fuori di un reparto ospedaliero. Sicuramente bisogna essere una persona preparata e non improvvisata come il volontario, che per quanto possa essere una figura importante e di supporto, non ha gli strumenti. Gli operatori hanno tutte le competenze per affrontare questa attività nella maniera più giusta,  persino le situazione di emergenza come la morte di un bambino. La nostra attività si svolge anche con i ragazzi e gli adolescenti, perché la malattia interrompe il loro percorso di crescita e diventa ancora più difficile relazionarsi con loro; inizialmente pensano di non averne bisogno, poi la cercano e si crea un legame molto bello e particolare, sicuramente diverso da quello istaurato  con i bambini. Il ragazzo deve fare i conti anche con il suo aspetto fisico, per lui molto importante per essere accettato: la perdita dei capelli, o l’assunzione di alcuni farmaci che cambiano il fisico, mette in crisi il paziente, per cui l’operatore deve lavorare su questo aspetto tutti i giorni, perché solo così è possibile creare un’ottima relazione e diventare punto di riferimento per il ragazzo».
Come vi autofinanziate?
«Vendita di calendari, beneficienza come anche nel caso della sfilata in questione, o bomboniere in cui prepariamo una pergamena con una frase particolare, e la leghiamo con un nastro colorato a seconda dell’evento. La difficoltà sta proprio per questo progetto, che è terminato nel 2008, ma lo portiamo avanti inventandoci di tutto; l’Arciragazzi come associazione partecipa a vari bandi attraverso diversi progetti». 


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