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MY TWO CENTS/IL CIRCO DEI 5 STELLE

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

25
OTT
2018

L’intervento del premier, il collegamento dal Guatemala con Alessandro Di Battista, lo show a tratti discutibile di Beppe Grillo. E infine la lettera di Luigi Di Maio ai suoi elettori

Lo scorso week-end è stato spumeggiante: gite fuori porta a caccia di castagne, i primi accenni di foliage in contrasto con i bagni al mare, l’ultimo episodio di “Ulisse” di Alberto Angela, l’appuntamento annuale con la Leopolda - il convegno di Matteo Renzi, per chi non lo sapesse - e la festa del Movimento 5 Stelle al Circo Massimo. In maniera molto buffa, gli ultimi due eventi per la location scelta rispecchiano la condizione attuale di questi due giganti della politica italiana: il PD (almeno quello renziano) in attesa di un treno che probabilmente non si fermerà mai in una stazione ormai non più attiva mentre il Movimento 5 Stelle fa festa nel luogo che più gli si confà: il circo. Dell’evento in quel di Firenze sinceramente non mi sono occupata molto e bisogna dire che non c’è stata un’attenzione particolare da parte dei media, se non per la partecipazione di Bonolis e la sua battuta sul pupazzo. Le cose sono tre: o il PD di Renzi non ha più un peso politico tale da poter suscitare interesse nel pubblico o il PD in generale non ha più un peso politico da tale da poter suscitare interesse nel pubblico o effettivamente la cosa più eclatante successa è la battuta sul pupazzo, quindi di che dovremmo mai parlare se non di quanto l’ironia e la sublime arte del perculare riescano sempre e comunque dove gli altri falliscono? Tutt’altra storia, invece, per la festa a 5 stelle. Grande partecipazione - dicono - per l’evento che per due giorni ha trasformato il Circo Massimo di Roma in un’isola felice di giallo vestita. Un’area dedicata ai bimbi, una dedicata alla cronistoria del movimento e poi un’area ristoro e un’area a tema “promesse fatte in campagna elettorale e non mantenute”. Scherzo, vi pare? Eppure sarebbe stato interessante questo piccolo angolo di autocritica e onestà in un oceano di autocelebrazione. Legittima, per carità. D’altra parte era la festa del Movimento 5 Stelle, non quella della Lega. O forse no? Boh. Era tutta gialla o c’era qualche sfumatura di verde? Chissà. La cosa certa è che queste due giornate sono state senza dubbio al centro dell’attenzione di molti. L’intervento del premier in carica (Giuseppe Conte, non Matteo Salvini), il collegamento dal Guatemala con Alessandro Di Battista più atteso della diretta dallo spazio con Samantha Cristoforetti a Sanremo, lo “show” a tratti discutibile di Beppe Grillo, la pioggia di condivisioni di foto e stories su Instagram degli attivisti manco fossero al Coachella o al raduno dei papaboys. E poi le magliette gialle dei parlamentari con scritto “Il portavoce nazionale ti ascolta”, frase che da Taranto - ma anche dal Salento e dalla Val di Susa - risulta divertentissima da leggere dato il rapporto con i parlamentari locali, immortalati in zona solo quando possono uscirne vincenti e sorridenti. E infine la lettera di Luigi Di Maio ai suoi elettori. Su questa vorrei soffermarmi un attimo, se non vi dispiace. L’ho letta più di una volta. Ho sentito proprio il bisogno di farlo, un po’ come con la visione del doppiaggio di Michael Moore a opera di Fabio Celenza nell’ultima puntata di Propaganda Live (fatevi un regalo: cercatelo se non l’avete ancora visto). Quasi mi piacerebbe commentare ogni passaggio, con la stessa passione che mettevo quando alle superiori dovevo spiegare in forma scritta ogni capitolo de “I Promessi Sposi”, ma il tempo è tiranno e lo è anche lo spazio a disposizione. Di Maio parla in modo poetico, anche con un linguaggio abbastanza evocativo oserei dire, della storia del Movimento paragonandolo a un corpo umano in evoluzione. Esattamente come il nostro corpo, quello che a tutti gli effetti è diventato un partito è passato dall’infanzia all’adolescenza fino ad arrivare all’età adulta. Nella testolina di Di Maio (o chi per lui) quel piccolo frugoletto pentastellato, che come un bimbo strillava e reclamava la sua poppata di onestà riempiendo il pannolino di caste, corrotti e liste nere di giornalisti, è diventato: prima un ometto da educare e a cui insegnare che i giochi vanno divisi con tutti, che non bisogna dire le bugie, che non bisogna dire le parolacce tranne “Vaffa”, che oltre a Batman, Spiderman e i Teletubbies esistono anche i Poteri Forti e che Luigino vale quando Ale che vale quando Beppino che vale quanto me, che insomma “uno vale uno”; poi è diventato un ragazzino rompicoglioni, di quelli che pensano di poter fare parkour tra i grattacieli di New York senza aver neanche mai saltato su un tappeto elastico alla sagra delle bombette, uno di quelli che non studiano e non leggono perché comunque sanno tutto loro, chissà perché; infine è diventato un adulto, teoricamente maturo, preparato e competente, in grado di potersi cucinare da solo un uovo al tegamino senza dare fuoco all’intero condominio. E magari anche di mangiare da solo, senza che nessun padre gli faccia l’aeroplanino con il cucchiaio. Nonostante questa evoluzione fisiologica, però, “La nostra anima è sempre la stessa, non può cambiare perché è la nostra identità. È il DNA.”. “La nostra anima non cambierà mai!”. Non sentite anche voi in sottofondo uno stridore sinistro? Quel “gneeeek” che è espressione onomatopeica di due mani che tentano di aggrapparsi ad uno specchio fatto di giustificazioni? Quel modo di evidenziare l’anima che non muta, che resta protetta e pura nonostante tutto, mi suona un po’ come quel “Eppure era una brava persona, salutava sempre” che si riserva a chi viene beccato con le mani nella marmellata. Un modo per giustificare la nostra cecità o per salvare le apparenze? A voi la scelta. Sicuramente un modo per non essere completamente onesti con il proprio elettorato, in primis quello deluso. Un modo rassicurante, amorevole e delicato di dire: “Sì, ok, abbiamo fatto l’accordo con la Lega, non abbiamo bloccato la TAP, non abbiamo chiuso l’Ilva, non abbiamo impedito la TAV, abbiamo preso a lavorare degli amici, abbiamo detto tutto e il contrario di tutto, ogni tanto facciamo qualche figuraccia epica e parliamo di manine fantasma ma state tranquilli: noi siamo sempre quelli di 10 anni fa”. È davvero una visione romantica della cosa, ci si potrebbe anche commuovere leggendo queste parole e bisognerebbe avere sempre a portata di mano un documento sulla pace fiscale per asciugarsi le lacrime. Oppure una di quelle mille prime pagine di giornale di almeno 5 anni fa in cui Grillo dichiarava di voler aprire il Parlamento “come una scatoletta di tonno”, dimenticandosi che le scatolette possono essere taglienti e insidiose. Si può anche rompere la linguetta e magari a quel punto l’unica cosa che ti resta da aprire è il frigorifero e dentro ci trovi solo un gambo di sedano. Ma sono piccolezze perché: “Finché il nostro cuore continuerà a battere potremo continuare a prenderci cura di questo Paese per renderlo all’altezza dei sogni di quando eravamo bambini.”  In questo frullato di cuore, emozioni e sentimento c’è un però. Il ministro Di Maio ha omesso un piccolo particolare sul passaggio del Movimento dall’età adolescenziale al mondo degli adulti. Il ministro non ha detto che quando si diventa adulti a volte si diventa anche un bel po’ stronzi. Ci vuole un attimo per ritrovarsi a riempire i propri figli, i propri amici o i propri colleghi di “Vediamo”, di “Oh ma prendiamoci un caffè ogni tanto”, di “Ti chiamo io, sicuro” e non mantenere mai la parola data. Un attimo. E lui lo sa benissimo. Solo che questo è davvero poco poetico, romantico e autocelebrativo da dire alla propria festa.



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