A dire il vero non mi sorprende più di tanto l’annunciato ritorno in pista di Berlusconi. Anche senza essere macrodotati dal punto di vista cerebrale, è facile intuire le ragioni che sono alla base della sua probabile ricandidatura: la necessità di godere ancora dell’immunità parlamentare, gli interessi legati alle sue formidabili quattro M (Mediaset, Mediolanum, Mondadori, Milan) e, in misura minore, un’ambizione mai celata e un’incrollabile fiducia nelle proprie capacità che – bisogna dargli atto – trasformano la sua avventura esistenziale in un racconto di epica contemporanea. Indiscutibilmente Berlusconi è un prodotto che funziona, rappresenta l’offerta che soddisfa l’atavico bisogno dell’italiano medio: riconoscersi e identificarsi in un capobranco dotato di carisma personale e potere economico. Sono anni che assistiamo alle sue discese ardite e risalite, e ogni volta ripetiamo che questa volta è politicamente finito, che sono cambiati i tempi, gli elettori, le dinamiche partitiche; e ogni volta lo guardiamo con occhi indagatori, sperando di cogliere un capello bianco, una smorfia di stanchezza, una parola di scoramento, insomma un sintomo qualsiasi di decadenza a conferma delle teorie di declino. Cerchiamo anche, invero, segni di disaffezione se non elettorale, almeno umana: ne ha fatte e dette troppe – dicono tutti -, è ormai la caricatura di se stesso. Eppure. I sondaggi fanno la ola ogni volta che parla, anche solo per dire di essere “costretto” al ritorno in politica, e quello che succede dall’altra litigiosissima parte non solo non offre valide alternative, ma spinge ancora di più verso questo micidiale catalizzatore di simpatie, di talenti e di consensi. Gli elettori di sinistra assomigliano sempre di più a quei malcapitati che venivano chiusi per punizione in un sacco insieme a un cane, un gatto e un serpente; quelli di destra, invece, si stanno arrampicando su specchi di attesa sperando che arrivi un appiglio più consistente rispetto a quelli che si sono proposti finora: tutti coloro che hanno tentato di emanciparsi da Berlusconi hanno fatto una brutta fine in termini percentuali.
A proposito di brutta fine. L’altra sera, con un atto forte di volontà, ho deciso di preparare la marmellata di albicocche. Lo spirito che mi animava era lo stesso di Prometeo quando rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini. Anche io – pensavo – avrei donato la dolce sostanza, quasi che fosse una matrice di vita, a quanti l’avessero meritata. Quella sera la mia non era una cucina, ma l’athanor di un alchimista, luogo metaforico di trasformazione e creazione: la mia Pietra filosofale non avrebbe trasformato i metalli in oro, no, ma si sarebbe potuta spalmare sul pane a merenda o sarebbe andata a farcire crostate e focaccine. Il lavoro non conosceva sosta e il mestolo continuava a rimuginare quella composta dal colore (e dalla temperatura, a giudicare dagli schizzi bollenti) del Sole. A un certo punto, l’attenzione della provetta alchimista è stata catturata per qualche minuto da un documentario su Josef Mengele, il medico e antropologo nazista che compì orribili, quanto inutili, esperimenti pseudo scientifici sugli internati dei campi di concentramento. Risultato: la marmellata si è bruciata e un senso di pena misto a orrore non mi ha più lasciata, insieme a una speranza, ovvero che tutto quel dolore non sia stato inutile e che l’umanità impari a non generare più sofferenza verso se stessa e verso altri esseri viventi capaci di emozioni e sentimenti similari ai nostri. Ho salutato con grande gioia la notizia di queste ore relativa al sequestro dell’allevamento di cani destinati alla vivisezione. Spero che un giorno la pratica terribile di usare esseri viventi evoluti come cavie da laboratorio sia condannata unanimemente e percepita da tutti per quello che è: una quantità di dolore e sofferenza evitabile e condannabile al pari di quella generata da Mengele.