Con 553 voti favorevoli, 14 no e 2 astenuti, il taglio dei parlamentari, fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle, ha ricevuto il via libera.
Dopo la legge, il numero dei deputati scenderà da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200, mentre quello dei deputati eletti all'estero, da 12 a 8, e dei senatori, da 6 a 4. Secondo la tesi dei promotori, la riforma determinerà un risparmio nei costi della politica, anche se, in realtà, l’utile sarà insignificante rispetto agli altri capitoli di spesa. Il vantaggio economico per gli elettori è impercettibile, poco più di 2 euro a cittadino. La difesa e le missioni di pace costano circa 250 euro a italiano. In concreto, il taglio del numero di parlamentari si traduce in una notevole riduzione della rappresentanza popolare giacché si passerà da circa 1 deputato ogni 96mila abitanti a poco più di 150mila e da circa 1 senatore ogni 189mila abitanti a poco più di 300mila abitanti. L’Italia, però, è una repubblica governata in forza della democrazia indiretta basata sulla rappresentanza della sovranità popolare delegata. Il taglio dei parlamentari inciderà proprio sulla capacità di rappresentanza che dovrebbe essere garantita dalla Costituzione per l’intero territorio nazionale.
Da oggi, la captazione delle istanze provenienti dagli elettori diverrà più complessa, riducendo ulteriormente la comunicazione fra cittadini e istituzioni, aumentandone, così, le distanze. Come in ogni analisi corretta è necessario contestualizzare gli eventi, proprio partendo dalla reale capacità rappresentativa dei parlamentari. Deputati e senatori, infatti, più che svolgere il ruolo di rappresentanti del popolo, rivestono un ruolo inverso facendosi eleggere per sviluppare i loro progetti così come quelli dei loro partiti. Questo si traduce in una posticipazione o irresoluzione delle necessità a loro affidate dagli elettori. Anche non potendo generalizzare, il fenomeno è, ormai, ampiamente diffuso.
Il problema più gravoso riguarda la concreta partecipazione dei parlamentari all’attività di governo. Non è prevista, infatti, la decadenza del mandato parlamentare per assenteismo, così come nei consigli regionali, provinciali, comunali e nelle rispettive commissioni. Ci sono, infatti, parlamentari che, durante la carica, svolgono tutt’altra attività anche percependo emolumenti e benefici economici destinati agli eletti. Attraverso i dati di Openparlamento è possibile verificare le presenze dei parlamentari, scoprendo una quota di assenteisti molto ampia. Al contrario, ci sono anche virtuosi che, indipendentemente dalle loro capacità, sono molto presenti e partecipativi. I primati dell’assenteismo spettano a Michela Vittoria Brambilla, Antonio Angelucci, Giorgia Meloni alla Camera, Tommaso Cerno, Niccolò Ghedini e Maria Elisabetta Alberti Casellati al Senato. Seguono Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Vittorio Sgarbi, Ignazio la Russa, Daniela Santanchè e tanti altri la cui percentuale varia stabilendo una continua competizione per aggiudicarsi la maglia rosa per le assenze. Parlando di assenteismo, non ci si riferisce a qualche giorno di mancata presenza ma a percentuali altissime, molto vicine alla totalità, nonostante i chiari moniti stabiliti dai regolamenti di Camera e Senato. I parlamentari latitanti, non disertano le aule per seguire direttamente gli eventi sul territorio nazionale ma, spesso, per dedicarsi ai loro impegni professionali, personali o alle loro campagne promozionali. Naturalmente, il taglio approvato non colpirà gli assenteisti e, neppure i poltronisti, contro i quali, la riduzione dei parlamentari non apporterà nessun aggiustamento. Diverso e più funzionale sarebbe stato introdurre la decadenza del mandato oltre una certa percentuale di assenze ma, come accade in situazioni simili, si sarebbe invocata l’incostituzionalità di un provvedimento utile ma non gradito. La considerazione più sconcertante è che molti degli assenteisti recidivi sono proprio quelli che, fuori da Camera e Senato, sono attivissimi nel recriminare contro le attività di governo e i propri colleghi, anche non disdegnando il godimento di tutti i privilegi.
La riduzione dei parlamentari, quindi, oltre ad essere un maggiore incentivo alla contrattazione dei voti senza apportare vantaggi alla funzionalità governativa, limita notevolmente la rappresentanza popolare. Il provvedimento anticipa pericolosamente l’accentramento dei poteri poco consono alla democrazia. Piuttosto che selezionare delegati seri, capaci e motivati, si è preferito ridurre i parlamentari senza avere la certezza che coloro che restino siano davvero all’altezza e meritevoli del proprio ruolo.