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Post Invalsi/Liberate la scuola

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

30
MAG
2014
Progetto ambizioso quello di scrivere di una scuola moderna. L’insegnante (e avanguardista) Antonio Saccoccio spiega che se si vuole davvero riformare il sistema scolastico lo si deve colpire al cuore, abolendo voti ed esami
 
Si sono svolte, due settimane fa, nelle scuole secondarie di secondo grado le tanto discusse e discutibili prove INVALSI. A parlarne non solo insegnanti e addetti ai lavori ma anche  genitori di bambini e  bambine che frequentano la scuola elementare, per i quali tali prove sono fonte di ansia e preoccupazione. E così su un’istituzione sempre più povera di fondi, la scuola pubblica, arresa alle regole del mercato e sempre più orientata alla ferrea logica dei numeri e della competitività, in un’istituzione coinvolta del dilemma cartaceo/digitale, libri di testo sì/libri di testo no, ad accrescere lo stato di tensione, puntuali come un orologio svizzero, ogni anno arrivano i temuti fascicoli INVALSI, preceduti da circolari, mobilitazione di docenti, divisi in osservatori e somministratori ai quali viene fornito un manuale d’istruzioni  la cui lettura non può non produrre reazioni ben più  sconvolgenti di quelle procurate dallo scorrere degli effetti indesiderati presentati sui bugiardini dei medicinali. Questi un paio di passaggi presi dal manuale:  “Durante la prova girare costantemente tra i banchi per assicurarsi che gli alunni lavorino in completa autonomia, con impegno e senza fermarsi”, “Quando vi dirò di smettere, dovete posare immediatamente la penna e chiudere il fascicolo.”  Chi volesse sincerarsi del tono decisamente poco rassicurante del Manuale INVALSI per il somministratore, può farlo andando al sito http://www.invalsi.it/areaprove/documenti/materiale_info/Manuale_somministratore_Rilevazioni_INVALSI_2014.pdf  Siamo certi che sarà una lettura che un segno lo lascerà.
Ma oggi non siamo qui per raccontarvi delle prove INVALSI. Siamo per segnalare un  volume recentemente pubblicato (gennaio 2014) in formato digitale dal titolo “La scuola moderna. Verso un’educazione senza voti né esami”, all’interno del quale sono presenti due capitoli de “La scuola moderna” di Francisco Ferrer Guardia, nato a Barcellona nel 1859 e fucilato nel 1909 perché ritenuto coinvolto nell’attentato al re Alfonso XIII, compiuto da Mateo Morral, bibliotecario della Escuela Moderna: una scuola laica e razionalista con sedi in varie  città catalane, voluta e creata proprio da Ferrer nel 1901. Il volume contiene inoltre capitoli curati da Filippo Trasatti, docente di filosofia e storia in provincia di Milano, Antonio Saccoccio, anch’egli insegnante, oltre che editore e musicista, Carlos Martines Aguirre, professore di greco e latino, la cui prima formazione è avvenuta nel Colegio Siglo XXI di Madrid, fondato da un gruppo di professori socialisti e anarchici ispirati dai metodi di Ferrer, Gonzalo Jerez Sànchez, “uomo di mondo”, recentemente laureatosi in Filologia Classica a Madrid. Illuminanti la brevissima nota introduttiva (“Questo volume è stato scritto da cinque mani (tre spagnole e due italiane, quattro vive e una morta) in totale libertà e amichevole cooperazione, con la trepida speranza di offrire un contributo, teorico ed esperienziale, alla millenaria lotta per la liberazione del genere umano.”) e l’esergo tratto da “L’esame” di Kafka, del quale riportiamo la parte finale: “E’ stato soltanto un esame. Chi non risponde alle domande lo ha superato”, che bene fa cogliere lo spirito di un testo che, riproponendo il pensiero libertario, eretico se vogliamo,  di un secolo fa, sollecita un’idea di scuola fonte di piacere, il piacere di conoscere tenendo viva la curiosità, di risolvere, di comprendere, di progettare, di sognare. Una scuola  che faccia da sponda alla disperazione e alla disillusione che caratterizzano questo tempo, che faccia sgorgare fra le opposte tendenze, quella del pessimismo da un lato e dell’euforia anestetizzante dall’altra, una sorgente per coltivare le cose belle e intelligenti senza ricorrere all’arma di una valutazione, di un voto vissuto con ansia  dalla gran parte degli studenti e anche da quei docenti che sognano una scuola descolarizzata. Per meglio comprendere questo saggio abbiamo raggiunto, grazie alla Rete, il prof. Antonio Saccoccio, uno dei curatori, al quale abbiamo posto alcune domande.
Da dove è nato il bisogno di questo saggio su Ferrer? Perché recuperare oggi questa sua esperienza?
«Il libro su Ferrer nasce da un bisogno crescente negli ultimi anni in diverse cerchie d’avanguardia e libertarie: portare la discussione sulla scuola verso argomenti decisivi.
Ferrer innanzitutto ricorda a tutti noi la vera natura della scuola, quando afferma che nel secolo XIX i governi iniziarono a sostenere le scuole “non perché sperassero attraverso l’educazione un rinnovamento della società, ma perché avevano bisogno di individui, operai, strumenti di lavoro più perfezionati affinché prosperassero le imprese industriali e i capitali a loro dedicati”. E poi comprese che bisognava battersi contro gli esami e i voti, il vero cuore del sistema-scuola. Bisogna colpire il sistema al cuore, se si vuole cambiarlo».
Quali sono gli aspetti della pedagogia libertaria che oggi dovrebbero costituire un punto di partenza per ricreare la scuola dalle fondamenta?
«Credo che uno degli assunti principali della pedagogia libertaria sia che i mezzi debbano coincidere con i fini. Di conseguenza, non si può educare alla libertà imprigionando per ore i giovani in un’aula di 40 metri quadrati e costringendoli a ubbidire costantemente a un superiore. Possiamo dire che la scuola prende in considerazione unicamente il “contenuto” e non la “forma” dell’apprendimento. Ma la forma, la modalità con cui ci si relaziona tra esseri umani è importante almeno quanto il contenuto. Per creare scuole libere sarebbe opportuno partire da questo presupposto: riconsiderare “mezzi” e “fini”, “forma” e “contenuto”».
Parliamo di valutazione (voti) e apprendimento. Qual è la posizione dei pedagogisti libertari?
«Cerco di spiegarlo nel modo più semplice possibile. Il voto scolastico misura e mette gli studenti in una scala, quindi in una gerarchia. Per di più si impara presto che quella gerarchia pesa molto a scuola, e peserà molto nella vita. Tutto questo è inaccettabile per i libertari e gli anarchici. E dovrebbe essere inaccettabile per tutti gli esseri umani. L’obiettivo delle nostre vite (e quindi della scuola) non dovrebbe essere la corsa ad essere “più” o “meno” dei nostri simili, ma il “ben-essere” individuale e collettivo». 
Qual è la tua posizione a proposito delle prove INVALSI?
«È il punto di arrivo della pratica della misurazione. L’INVALSI, certo, è disgustoso. Ma la quotidiana meticolosa misurazione esistente prima dell’Invalsi (con tutto il corredo docimologico di griglie di valutazione, questionari e schedature varie) ne costituisce la necessaria preparazione ideologica».
E veniamo a un nodo cruciale: scuola e tecnologia. È in questa accoppiata la soluzione alla demotivazione degli studenti e studentesse? Mi spiego meglio: sarà la tecnologia a salvare la scuola dal naufragio? 
«La tecnologia non risolverà i nostri problemi. La tecnologia ci sta offrendo alcune opportunità, poi starà a noi sfruttarle. La Rete, ad esempio, ha enormi potenzialità. Già funziona, nei migliori casi, come un enorme ambiente di apprendimento. È questo paradigma reticolare che, estendendosi in ogni ambito delle nostre vite, può condurci a liberarci dall’istruzione e dall’indottrinamento scolastico. Nuove forme di apprendimento comunitario possono nascere facendo leva sulle opportunità messe a disposizione dalla Rete. Un esempio semplice: questo nostro libro su Ferrer è il frutto di un gruppo di persone (gli autori dei singoli contributi e i traduttori: Gonzalo Jerez Sánchez, Filippo Trasatti, Carlos Martínez Aguirre e il sottoscritto) che si sono conosciute attraverso il web; la stessa casa editrice Avanguardia 21 è costituita interamente da individui che si sono incontrati per la prima volta in rete. E, una volta pubblicato il libro, il processo sta proseguendo allo stesso modo: il prof. Roberto Maragliano, con cui sono entrato in contatto sul web, ha ripreso questi temi in una recente video-intervista con il suo Laboratorio di Tecnologie Audiovisive, e anche tu, che ora mi stai intervistando, mi hai incrociato in rete e ti stai unendo a questo coro di voci consonanti, che comprende già studenti, ex-studenti, professori, formatori, etc. Ora, a questo punto di tale percorso, possiamo chiederci: abbiamo appreso qualcosa? E da chi? come? Chi è il professore? Chi l’alunno? Ci hanno valutato? Ci hanno messo in una scala di valori? Abbiamo tutti appreso qualcosa, senza far caso all’età e senza divisioni tra docenti e discenti, nessuno ci ha valutato né misurato».
La Rete è libertaria o liberticida?
«Per me ogni tecnologia possiede una sua inclinazione e la rete per sua natura è libertaria. Ciò non toglie che la libertà possa essere fortemente limitata. La scuola, al contrario, è un ambiente creato per controllare, limitare, circoscrivere (ambienti chiusi, spazi stretti, orari rigidi, divisione in ruoli, etc.).Tuttavia, anche a scuola si possono fare esperienze libertarie, con molta difficoltà ma ci si può provare.
Una precisazione doverosa: quando parliamo di Rete non dobbiamo solo riferirci allo strumento in sé, alle procedure tecniche pure e semplici, ma a tutto ciò che sta dietro una tecnologia tanto pervasiva. Per questo, attorno al 2007-2008, ho iniziato a usare, con alcuni amici, il termine “retealtà”, per definire la situazione presente, in cui il nuovo paradigma della rete si sta estendendo a tutta la realtà quotidiana. Abbiamo pensato a questo termine perché la rete non è, come ancora vuole qualcuno, “virtuale”, ma è più reale della realtà, in quanto è già pienamente nelle nostre vite e va permeando ogni nostra attività».
Lei sposa il pensiero di Papini (Chiudiamo le scuole!) che è anche di Céline (Ricreate la scuola! Rinnovate la scuola!). Ma da dove partire?
«Papini, Céline, ma anche Marinetti, Illich, Foucault, Vaneigem: stiamo parlando di giganti che avevano fin troppo chiaro il funzionamento dell’istituzione scolastica perché avevano una loro visione del mondo. Alcuni di loro fecero parte di movimenti d’avanguardia, movimenti che partono sempre da un elemento profondamente anarchico e libertario, perché hanno ben chiaro un punto: per poter costruire una realtà migliore occorre prima smantellare la soffocante realtà che ci ha lasciato in eredità il passato.
Avanguardia, futurismo, anarchia: nell’uso comune sono diventate quasi parolacce, e questo solo per neutralizzare il loro potenziale rivoluzionario. Anche in questo la rete è foriera di libertà: sul web c’è una proliferazione continua di “libri proibiti” del pensiero anarco-libertario e d’avanguardia. Quasi tutti disponibili gratuitamente».
Quale orizzonte di scuola lei scorge dall'attuale fase storica?
«Io credo che nel futuro che ci attende (che potrà essere tra 15 anni, forse 30 o 40) non ci sarà bisogno di luoghi deputati per l’educazione, perché la Rete globale ci sta mostrando l’ideale di un mondo in cui si apprende costantemente senza bisogno di essere continuamente forzati all’istruzione. Tutto il mondo sarà di nuovo a disposizione del nostro desiderio di conoscere e della nostra curiosità, e questo sì che sarà la realizzazione dei migliori sogni anarchici. Credo quindi che sia destinato a cadere presto e miseramente tutto l’orrendo corredo di questionari, test, schedature, griglie. Abbiamo attraversato una fase storica in cui tutto ciò ci è sembrato giusto e necessario. Oggi tutto questo mondo (il mondo della misurazione fredda e meccanica) è entrato davvero nella sua fase terminale».
 
 


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