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Il racconto/TROVARSI A MARATEA

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

22
MAG
2015
Era una giornata di inizio luglio, quando ricevetti la telefonata dalla redazione del settimanale Extra Magazine, su cui scrivo. Mi chiedevano se potevano accreditarmi a un convegno in Basilicata, io ci pensai un attimo, poi chiesi di cosa si trattasse; loro mi risposero che avrei trovato tutto su internet e che il convegno si sarebbe tenuto di lì ad una settimana in un lussuoso hotel di Maratea Porto. Risposi che andava bene, ci sarei andato, provvedessero all’accredito e alle prenotazioni necessarie. Il convegno, che si sarebbe svolto in due giornate, aveva come tema: “La Basilicata, può diventare la sesta regione autonoma? Si, perché ha tutte le caratteristiche necessarie: acqua in abbondanza, tanto da poterla fornire anche alle regioni limitrofe, mare, monti, boschi, arte, architettura, turismo e petrolio”. Titolo che da solo permetteva già di trarne un articolo, pensai. 
Il giovedì successivo, appena pranzato, accompagnai mia moglie, che preferì restare a casa, da nostra figlia, e io proseguii sulla statale 106 sino a Policoro, per poi svoltare a destra e prendere la ss. 653 Sinnica. Giunsi a Maratea porto verso le 17:00, e quando entrai nell’hotel mi accorsi che il convegno era già in corso perché da una sala mi giungeva la voce dell’oratore di turno. Lasciai le mie cose in camera e scesi frettolosamente al piano terra per seguire i lavori del convegno. Come mi avvicinai all’ingresso, in tailleur nero e tacchi da 12, le hostess chiesero il mio nome, controllarono sul loro registro e sorridendo mi dettero una cartella colorata, io contraccambiai il sorriso, ringraziai ed entrai in sala. Mi sedetti in fondo, in una delle ultime poltroncine e mentre l’oratore leggeva quello che tranquillamente avrebbe potuto dire a memoria, io aprii la cartella e sfogliai il suo contenuto: conteneva dépliant, copia degli interventi, foto e tanta pubblicità. Capito che dal titolo e dal contenuto della cartella avrei potuto trarne il pezzo da inviare al settimanale, appoggiai la schiena alla poltroncina e distrattamente rimasi a sentire gli interventi che si stavano succedendo. Verso le 19:30 i lavori finirono e la sala si svuotò. Io tornai in camera, chiamai casa e mia figlia, feci qualche altra telefonata, mi cambiai la camicia e tornai al piano terra. “Per la sala ristorante da quella parte, dottore”, si premurò di informarmi una delle hostess che avevo già incontrato al mio arrivo. La sala era affollata e io, fermo sulla porta, non riuscivo a decidermi dove andare a sedermi. C’erano solo tavoli circolari, occupati da commensali venuti da chissà dove, perché durante il convegno io non ricordavo di aver visto tutta quella gente. Sentendomi a disagio, tra tutta quella gente estranea, stavo per uscire, quando vidi un braccio che, sventolando un tovagliolo, cercava di attirare la mia attenzione. Una signora elegante, in abito nero, con un filo di perle che le ornava il collo e un foulard di seta sulle spalle, si stava alzando per venirmi in contro. “Buona sera Walter. Che sorpresa, anche tu qui?” Buona sera signora” risposi, cercando di ricordare dove l’avessi già vista e conosciuta. 
Era la professoressa Angela Losavio, che avevo conosciuto tramite comuni amici. Era successo qualche tempo prima, quando cercavo notizie inedite sull’evento Matera 2019. Per completare quell’articolo chiesi aiuto a un’amica residente in quel capoluogo e lei mi mise in contatto telefonico con la signora Losavio. Quando la professoressa mi chiamò, spiegai il motivo della mia richiesta e lei provvide a farmi pervenire tutta la documentazione necessaria e a darmi, di prima mano, subito delle preziose informazioni sull’evento. Dopo quella parentesi su Matera 2019 avemmo modo di sentirci ancora e di scambiarci delle email, o meglio, io le inviavo delle email con allegati i pezzi che desideravo leggesse, per poi conoscere il suo parere. Sempre gentilissima, rispondeva puntualmente alle mie richieste, e per questo io continuavo ad approfittare della sua disponibilità. Una mattina di inizio aprile chiamai l’amica per chiederle dove avrei potuto trovare la professoressa Losavio; mi trovavo a Matera, spiegai, e mi avrebbe fatto piacere farle una sorpresa e incontrarla per conoscerla e ringraziarla personalmente. L’amica mi indicò l’istituto dove insegnava ed io ci andai. Chiesi ad una bidella della professoressa e questa mi disse di attendere, perché sarebbe arrivata di li a poco. Effettivamente dopo qualche minuto entrò nell’istituto una signora e l’impiegata mi fece cenno che era la persona che aspettavo. Mi avvicinai per presentarmi e salutarla, lei, sorpresa, almeno così mi sembrò, rispose al mio saluto e mi disse che era stata proprio una combinazione poterci incontrare a scuola perché era il suo giorno di libertà e si trovava lì solo per parlare con la preside. Dopo averla ringraziata per la pazienza che mi stava dimostrando, parlammo ancora un po’ della passione comune che avevamo di leggere e scrivere, dopodiché ci salutammo con l’impegno, almeno da parte mia, di risentirci. 
“Sono qui per conto del settimanale”, risposi, sentendomi invadere dall’imbarazzo per non averla riconosciuta subito. Mi chiese quando ero arrivato e come mai non ci eravamo incontrati prima. Mi domandò se avevo già cenato e alla mia risposta negativa mi invitò al suo tavolo. Mi presentò ai commensali e così cenai assieme a sconosciuti in un’atmosfera liberty che sapeva tanto di fine ‘800. Gli uomini erano tutti eleganti, tutti ricercati e forbiti nell’esprimersi, con quel tanto di gentilezza e galanteria che siamo usi esibire in presenza delle signore. Prima del dolce ci alzammo e assieme uscimmo sulla terrazza. La serata era stupenda, senza un filo di vento, calda, tanto da farmi sentire a disagio in giacca e cravatta. La luna, in una notte straordinariamente stellata, riflettendosi sul porto, invitava a stare all’aperto. Lei, assorta nei suoi pensieri, si era appoggiata al parapetto del terrazzo e guardava lontano, verso il mare. “Qualche pensiero?” Domandai. “No no. Va tutto bene. Mio figlio sta con i miei a Castellaneta Marina, mio marito è a Roma per dei processi in Cassazione, torna sabato sera. Per questo ho approfittato per venire qui. Ero sola a casa e avevo questo invito.” “Le andrebbe di fare due passi fin giù al porto” le chiesi. Lei si girò verso di me, abbassò la testa come a rifletterci e poi decise: “Va bene, andiamo. E’ una serata così bella. Non trovi?” Poi si corresse:” Non trova?” Quando ci presentammo, la prima volta al telefono, lei mi invitò a darle del tu, ma io le risposi che non era per distacco o sufficienza, ma proprio non riuscivo a dare del tu ad una signora appena conosciuta, così anche lei, nelle successive telefonate ed email, continuò a darmi del lei. Camminammo lentamente verso il porto, quasi in silenzio; lei teneva i due capi del foulard tra le mani e, seguendo il ritmo dei suoi passi, lo faceva ondeggiare davanti a lei. Il disagio era palpabile: camminavamo sentendoci forse in colpa. Dove stavamo andando, cosa stavamo facendo così lontani da casa, in una notte stellata come quella? Al porto incontrammo della gente, delle coppie che sedute sulle panchine si stavano godendo la brezza marina. In mezzo a quella confusione di gente in pantaloncini e magliette multicolori, mi colpì la sua eleganza, la sua finezza. Li superammo e proseguimmo sino in fondo alla darsena, dove ci fermammo a guardare una barca a vela che al largo stava attraversano il cono di luce che la luna adagiava sulle onde. “Bello qui. Torniamo?” Si limitò a dire avviandosi verso la strada illuminata. Da una imbarcazione ormeggiata arrivavano le note dell’aria Sulla quarta corda, di Bach: mi soffermai un attimo ad ascoltare e anche lei si fermò ad aspettarmi. “Le piace la musica classica?” Mi chiese”. “Si.” Risposi. “Ma non in generale. Non sono un cultore, mi piace ascoltare dei brani, Mozart in particolare, ma anche Bach non è male.” Riprendemmo a camminare cercando degli argomenti di conversazione privi di qualsiasi ambiguità. Parlammo di cose quotidiane che forse non interessavano a nessuno dei due, aspettando solo il momento per augurarci la buona notte. 
Nella giornata successiva seguimmo assieme gli ultimi interventi, i ringraziamenti e i saluti degli organizzatori. “Ci vediamo a pranzo?”, mi chiese uscendo dalla sala. “No. Penso di ripartire subito.” Le risposi salutandola e ringraziandola. 
In macchina, più che riflettere su cosa avrei potuto scrivere del congresso, pensavo alla professoressa Angela Losavio, alla sua eleganza, cortesia e a quello che mi aveva colpito di più: la sua voce suadente e il suo sorriso limpido e accattivante. Arrivato quasi a casa stavo per chiamarla, per chiederle se anche lei fosse rientrata a Matera, ma non composi il numero. Non la disturbai, forse perché quelle ore trascorse assieme dovevano rimanere una parentesi trasparente, un ricordo piacevole e irripetibile. Chiamai invece mia moglie, per avvisarla che stavo rientrando e per dirle di prepararsi perché volevo portarla a cena fuori.
 
 
 
 
 


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