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Angela Ferilli /E se Dio fosse donna

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

27
NOV
2015
Leggere il suo "Dio è Donna" è come scrutare negli occhi tutte le donne del mondo cercando di cogliere i molteplici aspetti: affetti, lotte, dolore lacerante, silenzio che urla, abbandono e  rinascita. Undici racconti appassionanti e potenti, abitati da donne fragili, forti, timorose e coraggiose
 
Il libro di Angela Ferilli  sottolinea  la capacità femminile di rinascere dalle proprie ceneri, replicando ogni giorno il miracolo della vita.
Perché Donna è un grembo che è casa per il Divino.
Donna è un cuore che accoglie e nutre.
Donna è  un corpo che conosce, perché pieno di ogni sapienza femminile antica.
 
"Dio è Donna", parole che cercano di sovvertire la realtà e suonano, provocatoriamente, come un grido. Perché la scelta di questo titolo?
«Una provocazione, appunto. Un urlo. Un dire, in una sola  frase, ciò che probabilmente molti - non necessariamente donne - vorrebbero dire. Il titolo  inizialmente era un altro: "Se Dio fosse donna". Si trattava comunque di una provocazione, appena un po' più sussurrata, ma con il medesimo intento di scuotere il lettore facendogli arrivare, se non un pugno nello stomaco, almeno un bel dubbio intorno al quale far ruotare i pensieri. Poi la curatrice della collana, nonché editor, suggerì di utilizzare “Dio è donna”, già titolo di uno dei racconti presenti nel libro. In fondo, per me, si trattava di dover trasformare il concetto da semplice ipotesi a dato di fatto e così che "Se Dio fosse donna" diventò "Dio è donna". E, a quel punto, iniziai a divertirmi con la copertina, partendo dalla D di Dio che è la stessa di Donna. Varia solo la collocazione spaziale. Dio si estende in orizzontale. Donna in verticale. Ed è esattamente quel che accade ad ogni donna, oltre che ad ogni essere umano. Scalare verticalmente la vita, dovendo superare un'infinità di ostacoli».
 
Undici racconti  di donne che mostrano un affresco molteplice e variegato di femminilità e naturale sensibilità nel guardare il mondo, ognuna con occhi diversi. Storie di donne che, in modi diversi, cercano di riappropriarsi della propria esistenza, ognuna alle prese con i propri drammi personali e con le proprie gioie. Storie che dimostrano la tua grande capacità di penetrare nell’animo e nella psicologia femminile. Cosa significa essere donna oggi?
«I miei racconti sono una sintesi di quel che ritengo essere donna oggi. Al variare dei contesti, delle latitudini, della cultura, delle tradizioni, essere donna può significare essere consapevole dei propri diritti o non esserlo affatto, considerarsi oggetto (di desideri, appetiti, lusinghe, violenze...) o soggetto pensante, agente e reagente; avere tutto sotto controllo o arrendersi ad essere controllata; essere proiettata nella scalata al successo in società, in famiglia, a lavoro o essere emarginata, con tutte le possibili fasi intermedie all'interno degli estremi che ho elencato».
 
La donna possiede l’intuizione e la sensibilità per trovare sempre la strada della salvezza, anche nel più travagliato dei percorsi, ma è necessario divenire consapevoli del proprio valore come sacra combinazione di forza e fragilità, dei propri talenti e della potenza creatrice che ci contraddistingue avvicinandoci a Dio. Quale messaggio intendi lasciare a chi leggerà questo tuo scritto?
«Ciò in cui credo è una combinazione fra religione e libero pensiero, fra tradizione e intuizione. Sono solita dire che uno scrittore, che lo voglia o no, che ne sia consapevole o no, trasferisce in ogni scritto il proprio bagaglio di ferite e cicatrici, passioni e lotte, luce e buio, voglia di comunicare e di tacere, capacità di essere e di volere. Un romanzo, un racconto, un componimento in versi racchiude sempre tutto questo. Chi scrive, dona. Chi legge, accoglie. Chi scrive cede se stesso anche contro la propria liberata volontà. Chi legge, a seconda della capacità di intercettare l'Assoluto attraverso il particolare, può attingere a un intero mondo, quello dello scrittore, che è un mix di esperienze vissute o sognate, di fede, di speranze, di caparbietà, di volontà fuse nella sua capacità di creare.
Quando scrissi il mio primo libro, nel lontano 1988, un saggio sul bambino da zero a tre anni a casa e al nido, mi sentii come se avessi partorito il mio terzo figlio. E così  anche per quelli successivi, capita quando metti tanto di tuo in uno scritto che, nel momento in cui diventa altro da te, nel senso che viene pubblicato, non ti appartiene più ma diviene qualcosa che viaggia da sé, come un figlio appunto. Subentra allora una sorta di depressione post partum. Ci si sente svuotati. Di fronte alla culla vuota, la sindrome da abbandono è quasi un classico per tutti».
 
In  quale scritto ritroviamo Angela nella sua totalità?
«In Frida. Questo è un racconto diverso, strano se vogliamo, ma molto vero. Fin troppo forse. Si articola come il racconto di un sogno e, a tratti, esattamente come nei sogni, si spezza per proseguire con altre immagini e con ricordi evocati da quelle immagini. Il sogno è l'espediente letterario che offre continuità al racconto. Quattro quadri di Frida Kahlo introducono il ricordo di tre episodi dolorosi della mia vita e delle considerazioni finali che quei ricordi mi hanno indotta a trarre sul significato della sofferenza. Non si tratta di esperienze comuni a molti individui, per cui l'obiettivo del racconto non è stato fin dall'inizio la ricerca di argomenti in cui far specchiare il lettore, ma una sorta di salvavita per me. Avevo bisogno di raccontare per liberarmi da ogni dolore residuo. L'aborto. La frattura di una vertebra cervicale. L'operazione alla spina dorsale di mia figlia. Ciò che può essere utile al lettore è l'identificazione con le conclusioni. Il dolore fisico e dell'anima  ti prepara alla sofferenza, quella di tutti. Per cui, cambiando la tipologia di dolore vissuto, ciò che rimane è la capacità di entrare nella sofferenza degli altri, di comprenderla, assecondarla, cercare risposte a domande sospese».
 
Viviamo ed operiamo in una società ancora piuttosto misogina, forse sarebbe già un grande inizio immaginare un Dio Donna e  partire da qui per una nuova cultura del rispetto, cosa ne pensi?
«Se è vero che una parte della società è misogina, è vero anche che esistono uomini che adorano le donne e le rispettano in maniera esemplare. Se è vero che esiste la donna oggetto, velina e muta, è vero anche che esistono donne capaci di affermarsi in ogni contesto. Se è vero che esiste il femminicidio  non mancano donne capaci di uccidere anche i figli (che per me è ancora più grave che uccidere uomini). 
Credo che sì, dobbiamo continuare a lavorare alacremente affinché la cultura del rispetto sia la regola, ma non soltanto nei confronti della donna. Penso ai bambini, agli anziani, ai migranti, ai disabili, ai senza-tetto, ai senza-lavoro, ai senza-amore. Ecco se davvero Dio fosse donna tutto questo sarebbe già realtà... forse...».
 


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