La razza. Un concetto che, sebbene ampiamente confutato da recenti scoperte genetiche, risulta tutt’oggi molto utilizzato. Al di là di facili pregiudizi, alcune riflessioni in merito.
Si sente spesso parlare di razza. E ancor più spesso se ne sente parlare a sproposito: sembra che molti tutt’oggi utilizzino questo concetto senza conoscerne veramente il significato. Per amor di precisione vi dico che il Vocabolario della Lingua Italiana riporta tre accezioni di questo termine: una biologica, una zootecnica e una antropologica. Tutte e tre rilevanti ai fini del nostro discorso. Vediamole!
Sotto il profilo biologico col termine razza si intende un fenomeno di «divergenza intraspecifica», ossia il caso di una popolazione che si è differenziata significativamente rispetto alla sua specie di appartenenza. Ma risulta ampiamente dimostrato che gli esseri umani contemporanei appartengono tutti a un’unica grande specie (homo sapiens sapiens), all’interno della quale non sussistono differenze significative. A tal proposito due eminentissimi luminari nostrani, Alberto Piazza e Luca Cavalli Sforza, sulla base di una nutrita letteratura di settore, sostengono che vi siano maggiori differenze genetiche tra gli appartenenti a una stessa popolazione umana che tra due popolazioni umane considerate nel loro insieme. Detto in altre parole: esistono più differenze tra il signor Bianchi, il signor Ferrari e il signor Mancini – tutti e tre italiani – di quante non ve ne intercorrano tra italiani e francesi considerati nel loro insieme. Quindi la scienza odierna confuta l’esistenza delle cosiddette razze umane intese in senso biologico e genetico.
Sotto il profilo zootecnico col termine razza si intende una discendenza frutto di una selezione artificiale volta a favorire la comparsa nella prole di determinate caratteristiche desiderate dall’allevatore. Abbiamo quindi razze bovine, suine, canine etc. create nel tempo attraverso un laborioso processo di accoppiamenti forzati. Per quanto io ne sappia, nessuna popolazione umana deriva da una selezione di questo tipo. Ne consegue che, anche in senso zootecnico, risulta assai improprio parlare di razze umane.
Sotto il profilo antropologico col termine razza (un tempo!) si intendeva un tipo umano, ossia una popolazione che presenta determinate caratteristiche esteriori. Fatto sta che le già citate ricerche ci insegnano come questa diversità tra popoli non corrisponda a delle differenze genetiche significative. Detto in altre parole: siamo molto più simili di quanto non possa sembrare. Quindi anche in campo antropologico risulta oltremodo obsoleto ricorrere al concetto di razza. È di gran lunga preferibile utilizzare il concetto di etnia o, meglio ancora, quello di cultura. Non è un caso che oggi siano invalse espressioni come società multietnica e società multiculturale.
Fatto sta che la dimostrata inesistenza delle cosiddette razze umane rimane purtroppo un discorso scientifico ancora poco conosciuto. Molte persone, per quanto magari ben informate, stentano ad accettarlo pienamente poiché sussistono tutt’oggi dei fattori psicologici e culturali che inducono molti nostri consimili in errore. In primo luogo la tendenza a classificare. La nostra mente ragiona per categorie. Non nego che in molti casi esse possano risultare utili. Piuttosto sostengo che spesso vengano applicate in maniera impropria. Ossia capita sovente che a una data categoria (già di per sé più o meno arbitraria) vengano associate (altrettanto arbitrariamente) determinate caratteristiche di personalità. Poniamo, ad esempio, che le persone con i capelli viola provenienti da una non meglio determinata zona del pianeta siano considerate più furbe. Questo si chiama pregiudizio, ossia giudizio non basato su fatti dimostrati. La stessa cosa vale per le cosiddette razze umane. Cioè a dei gruppi con determinati tratti esteriori (per nulla indicativi di un’effettiva differenza) vengono attribuite delle caratteristiche. Tali credenze, lungi dal corrispondere alla realtà effettiva, derivano dalle reciproche attribuzioni che i gruppi sociali (nonché i popoli) avanzano nel corso della storia: gli uni dicono che gli altri… i quali a loro volta replicano… Tutto questo dire, piuttosto che una verità oggettiva, riflette soprattutto la natura dei rapporti intergruppali. Pertanto lasciamo da parte le dicerie e atteniamoci alle evidenze scientifiche, che ci insegnano l’inesistenza delle cosiddette razze umane. E chi non vuole accettarlo provasse a dimostrare scientificamente il contrario!