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IL BIANCO E IL NERO/SCACCHISTI POCO SOCIAL?

Pubblicato da: Categoria: SCACCHI

12
OTT
2017

Spesso si tende a stereotipare l’immagine dello scacchista puro, assimilandolo ad un individuo spesso bizzarro e asociale. Ovviamente non è così, anzi, la pratica del Nobil Gioco dovrebbe acuire e sviluppare le doti logico-matematiche e di “problem solving”. L’importante è non cadere in inutili eccessi, che potrebbero condurre a delle vere e proprie patologie.  

“Scacchisti asociali? La mia impressione, (ma può essere anche sbagliata eh, per carità) è che tra gli scacchisti, tutti in generale, vi sia una tasso medio decisamente elevato di persone asociali, chiuse, introverse, solitarie, ecc.. Mi sembra di aver spesso incontrato, nei vari circoli, tutta una serie di personaggi che definirli pittoreschi, emarginati e disadattati è pure poco! Chiedo scusa se qualcuno si ritiene offeso, ma a voi risulta questa cosa o sono io che sbaglio?” (D.C.)
Questo commento, riportato su un noto social network, è stato sottoposto alla mia attenzione da parte di un mio caro amico e socio dell’AD Itria Scacchi, corredato del seguente commento: “Noi avevamo già affermato qualcosa di simile!” riferendosi ad un mio articolo di Gennaio 2016.
In quell’occasione si scatenò un putiferio, alcuni scacchisti si risentirono. Vi garantisco, però, che i miei toni furono molto più moderati e arricchiti di opportuna documentazione a sostegno delle mie affermazioni.
Non ritengo che la dichiarazione del suddetto signore sia corretta, anzi prendo le dovute distanze dalla forma espressiva utilizzata; però un fondo di verità in quello che asserisce esiste. L’aspetto che più mi ha stupita, piuttosto, è stato la compostezza delle risposte da parte di tutti coloro che sono intervenuti nella conversazione, sia di quelli a favore che di quelli in disaccordo. Toni decisamente moderati, rispetto a quelli che caratterizzarono le conseguenze alla pubblicazione del mio articolo. Nessuno ha insultato o censurato la frase di D. C.
La maggior parte degli scacchisti ha risposto che, effettivamente, si rispecchia nel prototipo descritto. Alcuni affermano di essere stati sempre strani, altri che lo sono diventati a causa del gioco che, per sua natura, non implica che si creino dei rapporti con gli avversari e non prevede processi di socializzazione. Altri, infine, ritengono che sia logico che un Maestro, dopo anni di impegno e di studio, sia più suscettibile alla rabbia dinanzi alla sconfitta, rispetto ad un amatore. In ambiti molto competitivi, come quello del Nobil Gioco, la tendenza all’asocialità è normale. Il problema è che viviamo in tempi di individualismo, competizione, egoismo ecc., non ci si può aspettare molto.
Però gli Scacchi insegnano anche a riflettere, a considerare il punto di vista dell'avversario e di solito le persone riflessive non sono conformiste, per questo possono apparire strambe.      
Infine, uno scacchista afferma di applicare una chiave di lettura particolare, presa in prestito da E. From: "Essere o Avere". Secondo lui ci sono persone con una immagine di sé più fragile, tant'è che devono manifestarla palesemente con atteggiamenti anche asociali, tenendo le distanze. Chi realmente rappresenta qualcosa, non ha bisogno di atteggiamenti; basta che muova un dito e tutti sanno che lui è, ad esempio, uno scacchista.
Ebbene, premesso che ognuno sia libero di esprimere le proprie opinioni, senza essere censurato o insultato, purché non leda la dignità altrui, non ritengo che si possa generalizzare in merito alle caratteristiche di uno scacchista, creando il prototipo di un individuo asociale, burbero e, a volte, mentalmente disadattato.
Personalmente ho conosciuto grandi scacchisti perfettamente integri psicologicamente, quindi nel momento in cui ho riportato esempi di illustri giocatori affetti da turbe di natura psichiatrica, ho voluto semplicemente sottolineare un aspetto estremo e deviato, che può essere determinato dall’eccessiva applicazione agli Scacchi.
“Est modus in rebus”, affermavano i latini, vuol dire che deve esistere una misura in tutte le cose. Il Nobil Gioco, basato sulla riflessione, concentrazione e calcolo, se occupasse troppe ore della giornata, potrebbe innescare dei processi neurofisiologici, che alla lunga sfocerebbero in psicosi vere e proprie, soprattutto in menti fragili.
Con ciò non voglio asserire che tutti gli scacchisti siano pazzi, semplicemente che “in medio stat virtus”, cioè che si può mantenere il giusto equilibrio anche praticando il Nobil Gioco. In tal modo si eviterebbe di innescare un processo di alienazione ma, soprattutto, di sviluppare patologie psichiatriche. Al contrario, la pratica di questo gioco dovrebbe condurre al miglioramento delle capacità di “problem solving”, logico-matematiche e di comprensione e prevenzione delle situazioni svariate dinanzi alle quali ci si può trovare durante la vita.
Ho potuto constatare, inoltre, che, se alla guida delle varie associazioni, ci sono persone dotate di sani principi, viene implementata la socializzazione e tra grandi e piccoli nasce lo spirito di squadra.     
E’ opportuno, dunque, non stereotipare l’immagine dello scacchista, né in senso positivo, nè in senso negativo; piuttosto è conveniente approcciare nel modo giusto al Nobil Gioco e trarre tutti i benefici che esso può trasmettere.
Al termine di tutto questo, personalmente, spero di non aver urtato la suscettibilità di nessuno, soprattutto di coloro che possono rispecchiarsi in questo o quel prototipo, perché l’unica mia intenzione è quella di ammonire chi approccia a questa disciplina, affinché non cada in inutili eccessi, come potrebbe avvenire in una qualsiasi disciplina sportiva.
 



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