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Ma quali vandali? Siamo artisti!

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

27
APR
2012

 

Fenix e Alef, due tarantini che ormai da anni sono legati all'arte di comunicare con i graffiti, ci raccontano quanto ancora sia difficile far capire i loro messaggi e soprattutto non essere etichettati come imbrattatori
 
Il graffitismo o writing è un fenomeno, per definizione, di manifestazione sociale, culturale ed artistica che si basa sull'espressione della propria creatività tramite interventi pittorici sul tessuto urbano. Nasce nei primi anni Sessanta a Filadelfia, come mezzo di contestazione sociale, arriva nei settanta a New York e negli ottanta diviene un fenomeno diffuso a livello mondiale. A spiegarci meglio tutte le peculiarità storiche e sociali di questo fenomeno e tutti i problemi che ci possono essere nel momento in cui un tipo di arte per cui si vive non è da tutti compresa, due giovani studenti, Fenix e Alef, che da quando hanno incontrato la bomboletta non l'hanno più lasciata.
Come già anticipato, il graffitismo o writing è un fenomeno che ha, a tutti gli effetti, motivi di nascita legati alla sfera sociale... Spiegateci meglio.
«Il fenomeno nasce a Filadelfia nei primi anni Sessanta ma si inizia a parlare di cultura e movimento dei writers dopo circa dieci anni. E' una risposta ai movimenti razziali nei confronti dei neri o dei poveri che videro la loro ghettizzazione. I primi a utilizzare le bombolette lo fecero sui vagoni delle metropolitane perché costituivano lo spazio più visibile che potevano utilizzare per lanciare il loro messaggio, ovvero: noi esistiamo e non basta ghettizzarci per farci sparire. Tra gli anni Ottanta e i Novanta il fenomeno diventa mondiale ed è in questo periodo che si fa la prima distinzione tra old school e new school. Come suggeriscono i termini stessi la prima è la generazione che segue lo stile originario mentre la seconda sviluppa uno stile nuovo che è il risultato di un connubio tra lo stile originario e le varie influenze che riceve a livello mondiale. E con il tempo, nella new school si sono sviluppati sostanzialmente due gruppi, gli stilers, coloro che hanno dato una maggiore rilevanza artistica al fenomeno, e i bombers che hanno mantenuto il messaggio di protesta e della fama cioè diffondere il loro nome (meglio tag) il più possibile.»
Come incontrate questo tipo di arte?
«In generale il writer e la cultura si incontrano per vari motivi. C'è chi  non tollera più il grigio e  porta così avanti un discorso di abbellimento della città con il colore, c'è chi manda un messaggio di protesta generalizzata che parte dal disagio sociale e chi si avvicina perché ne è affascinato. Nel mio caso per esempio, ero in un luogo pubblico destinato ai bambini e alle famiglie in cui trionfava il verde e la natura. Una parte di questo spazio era abbandonata e ospitava un muro di cemento sporco con del filo spinato. Presi la bomboletta e iniziai a scrivere Fenix, la mia tag per colorare quel muro... perché per me quel grigio rappresentava quello che tutti i giorni siamo costretti a vedere: il contrasto tra cemento e le poche piantine rimaste che cercano di sopravvivere.»
Spesso è un tipo di espressione che è stata associata ad atti di vandalismo perché c'è l'usanza da parte di alcuni adepti a utilizzare, come loro tele, mezzi pubblici o edifici di interesse storico, ma a questo punto è necessaria una distinzione.
«Noi, pur essendo stylers, appoggiamo la decorazione dei mezzi pubblici tramite i graffiti, anche perché riteniamo ingiusto che campagne pubblicitarie a pagamento anche scadenti possano invadere i mezzi con foto e immagini che nulla hanno di meglio delle opere di molti di noi, e non appoggiamo il messaggio che traspare, ovvero "se paghi puoi", noi lo facciamo per abbellirli e per guadagnarci su, però per noi c'è l'arresto ed il carcere per loro una tassa da pagare. Il discorso, a nostro parere è culturale, c'è ancora poca cultura graffitista che come abbiamo già detto nasce popolarmente ma non tutti sanno di cosa si sta parlando o di cosa siamo capaci. Per questo è necessario comunicare, per far conoscere la nostra arte, per trovare un compromesso con istituzioni e aziende che porti, anche legalmente, a un maggiore rispetto nei confronti della nostra cultura fortemente repressa. Bisogna inoltre necessariamente distinguere quei writers che dipingono con uno scopo e altri che, figli dell'esplosione del fenomeno che si è diffuso  tramite internet e della commercializzazione dello stesso, sono solo delle scadenti imitazioni dei writers originali e che dipingono senza uno scopo violando le leggi dei writing stesso che dovrebbero rispettare monumenti storici, luoghi di culto, macchine di privati e l'arte altrui . Non può essere considerato writer colui che compie questi atti. Il Writing, è giusto che finalmente si sappia, si basa sul rispetto e su regole che seguono il buon senso e non hanno niente a che fare con i vandali che girano per strada troppo istigati da personaggi via internet.»
Come si può far capire che con questi atteggiamenti si diffonde un messaggio sbagliato?
«Con l'educazione. Dado Ferri, writer bolognese che ormai lavora in Italia e all'estero, dice che piuttosto che reprimere bisogna informare e educare. Essendo una cultura va insegnata esattamente come le altre altrimenti si rischia lo sbandamento, la perdizione e in questo caso il vandalismo.»
Nonostante tutti i problemi legati al graffitismo siete riusciti a organizzare due progetti, Taranto on the wall e Acheronte. Raccontateci queste esperienze.
«I due progetti nascono dalla voglia di voler creare spazi e dal voler mostrare nella realtà dei fatti e non più con le sole parole cosa siamo. Abbiamo dimostrato di essere dei cittadini che vogliono combattere il grigio sfrenato che c'è a Taranto e che vogliono rendere la loro città semplicemente meno monotona e più colorata e bella con ciò che ci riesce meglio: dipingere. Sono dei progetti che in altre città sono già stati portati alla luce da pittori esperti o da writers stessi, basti pensare che a Milano i primi permessi legali arrivarono già sedici anni fa... Inoltre volevamo in qualche modo far conoscere la nostra preparazione e allontanare il pregiudizio che da sempre insegue le nostre bombolette e che non ci permette di affermarci come altri artisti che magari usano i pennelli. Avevamo bisogno di  far capire che l'arte passa anche tra le bombolette spray e che non siamo, come altri ci hanno descritti, pazzi incappucciati che girano per l'Europa fumando crack. Ci siamo messi a disposizione della città e abbiamo creato un vero incontro che ha invitato il bambino di sei anni ma anche suo nonno. Taranto on the wall è stato realizzato nella zona Taranto 2 vicino il parcheggio della scuola Martellotta e il nome stesso chiarisce il suo messaggio (Taranto sui muri). Acheronte invece ha preso vita su di un lato del sottopassaggio di via Dante, e ricordando il fiume attraverso il quale Caronte traghettava nell'Ade le anime, ha voluto creare un parallelo con l'inferno della nostra città che continua a respirare veleni, l'inferno che abbiamo passato per riuscire ad organizzare questo evento e l'inferno che noi writers viviamo ogni giorno. Tutto in maniera completamente autofinanziata.»
E' un periodo di crisi mondiale non solo economica ma anche di valori e la vostra arte è un mezzo di comunicazione. Quanto si comunica, a Taranto?
«Nella nostra città si comunica, il problema sta però nel fatto che ci sono due tipi di comunicazione che non hanno ancora trovato un punto di incontro, quella adulta e quella giovane. I mezzi di comunicazione cittadina sono pochi e non alternativi, tra i giovani è nato invece un movimento di repulsione contro questo sistema adulto e in parte vecchio di far comunicazione perché si è stanchi di questa situazione. Si ha voglia di Taranto come Lecce, come Bologna, come Milano...
I giovani vogliono una città attiva, dove il commercio funzioni e dove si possano creare le giuste alternative. E' un discorso che viene portato avanti da tanti gruppi in città, alcuni magari con idee contrastanti, ma si arriva comunque a novità culturali creando tra l'altro movimento ed è partendo da  questo che la città potrebbe attivare un cambiamento.»
Si parla di street art e di post graffiti cioè quelle tendenze che in sintonia con l'ambiente circostante si sviluppano in molteplici discipline quali la pittura, la scultura, la grafica, il computer design diventando spesso opportunità di lavoro. Riuscite a vedere in un futuro prospettive come queste anche per il vostro mondo?
«Queste due forme di espressione nascono, come il writing, dalla strada ma utilizzano supporti diversi e portano avanti messaggi molto più espliciti. Sono quindi tutte arti di strada ma che racchiudono tecniche ben diverse. Dal punto di vista lavorativo noi proponiamo arte che può piacere e non; siamo a tutti gli effetti dei liberi professionisti che possono vivere mesi di un gran numero di incarichi e mesi di nulla. Inoltre la difficoltà nel trovare lavori sta nel fatto che tanti non sanno che dietro a espressioni artistiche contemporanee, scritte sulle magliette, spille, loghi, architetture, ci siano i writers... Per fare un esempio, il già citato Dado Ferri opera in diversi campi, dalla grafica alla scultura... Le sculture che adornano la stazione di Bologna sono alcuni dei suoi lavori. Il cerchio è ristretto e le opportunità devi cercarle e ricercarle tu stesso.»
 


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