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Se la strumentalizzazione non trova convenienza: il caso di Trieste

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

8
OTT
2019

È prassi. In Italia si da inizio al dibattito, anche molto acceso, soltanto quando gli eventi divengono un’impellente necessità o sono accaduti con esiti irreversibili. Inquinamento e tutela ambientale, istruzione, giustizia, sanità, eventi naturali catastrofici, violenza, criminalità, si affrontano solo quando è impossibile rinviarli. Nel lasso temporale fra un’emergenza e l’altra, prevalgono interessi inconsistenti. Intanto, proliferavano la malapolitica, la criminalità organizzata, il malessere diffuso e la crisi economica. Se una condizione non suscita lo scalpore tale da diventare utile ai fini propagandistici, la classe politica non si dedica seriamente a risolvere emergenze anche molto serie. Piuttosto, cerca proseliti pronti al linciaggio dei capri espiatorio del momento.

Il 4 ottobre scorso, Alejandro Augusto Stephan Meran, 29 anni, ha sottratto con violenza lo scooter a una donna di Trieste. Dopo poche ore, con la collaborazione del fratello, il rapinatore è stato arrestato. Dopo un apparente comportamento pacato, quando è stato condotto in Questura, il fermato ha estratto la pistola di servizio dell’agente Pierluigi Rotta, 34 anni, freddandolo a bruciapelo e colpendo a morte il collega Matteo Demenego, 31anni. Poi è fuggito dopo aver sottratto anche l’arma del Demengo, dando inizio a un conflitto a fuoco con gli agenti, durato sino al suo ferimento e il conseguente arresto. Il vasto pubblico ha espresso sentimenti di sconforto e c’è chi ha esternato anche disappunto per l’ennesima e l’inaccettabile sciagura sul lavoro. Perché è di questo che si tratta, morti sul lavoro ed è su questo che deve essere focalizzata l’attenzione. Come in una fabbrica, su un cantiere, nei campi, durante un intervento di soccorso, due agenti sono morti in servizio. Eppure il mondo politico non si è interrogato sulle cause di una nuova disgrazia legata al lavoro ma solo sul clamore che questa notizia ha suscitato, cavalcando l’onda della divisione, schierando la pubblica opinione fra difensori della Nazione contro gli stranieri, solo perché il criminale è dominicano, e sostenitori dei diritti dei lavoratori spesso lasciati in balìa del libero arbitrio, privi d’idonea formazione e dei più elementari sistemi di protezione dai pericoli. Qualsiasi lavoro si eserciti, ha un margine di rischio per la salute e la sicurezza fisica degli operatori, pertanto, la prevenzione deve essere direttamente proporzionale e diversificata al pericolo d’incorrere in una malattia, un infortunio, alla morte. Quanto accaduto ai due giovani agenti di polizia non è differente. Sono morti sul lavoro perché la loro sicurezza non è stata garantita. Ore di servizio straordinario non regolarmente retribuite, contratti non rinnovati, turni stressanti, strumenti di lavoro inadeguati o obsoleti, formazione insufficiente, scarsa attenzione per la sicurezza, generano queste storture. Perché due agenti uccisi all’interno di una sede della Questura, dopo che era loro stata sottratta l’arma di servizio, non può che essere una stortura. Saranno gli inquirenti ad accertarne le cause ma due uomini, due agenti di polizia, sono morti all’interno della Questura mentre svolgevano le loro funzioni. Che i due lavoratori fossero agenti di polizia e che l’uccisore fosse straniero, sono dati di nessuna valenza ai fini di evitare che accada ancora. Il filo comune che unisce le vittime sul lavoro è unico: la scarsa considerazione per la salute, la vita, la retribuzione dei lavoratori, sia che siano dipendenti di un’azienda privata che dello Stato. Il costo per la sicurezza deve diventare una voce di bilancio dello Stato e non può essere demandata alle singole realtà lavorative. Nel caso dei membri delle forze dell’ordine, a loro è affidato il gravoso compito di garantire la legalità sul territorio ma per farlo dovrebbero ricevere precise direttive e rispettarle a fronte di una dotazione di mezzi, strumenti, formazione e remunerazione, efficienti, certi e adeguati. Evidentemente, non è così e non lo è stato neppure il 4 ottobre a Trieste. Ciò che emerge, evidenzia la condizione dei lavoratori dipendenti, anche dallo Stato, assoggettati alla volubilità della classe politica, capace di grandi proclami ma, evidentemente, incapace di assicurare i più elementari diritti dei lavoratori. Non è solo un problema economico ma un andazzo di chi ambisce alle cariche pubbliche ma non ne è all’altezza. Se la classe politica adottasse la stessa solerzia nello svolgimento dei propri compiti così come la dedica alla carriera e per garantirsi introiti e privilegi, mai più nessuno dovrebbe temere disgrazie come quella di Trieste o in ogni luogo di lavoro.



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