Aspettando Pasqua e le sue prelibatezze, la colorita proverbistica locale non lesina consigli su questo periodo di passaggio dai freddi rigori invernali ai tepori della primavera
Oggi, meteorologicamente parlando, la primavera prende il posto del generale inverno. Ma è proprio così?
Il dubbio nasce dalla constatazione che quelle che vengono definite stagioni intermedie, la primavera e l’autunno, siano di fatto scomparse per fare spazio alle due stagioni più “forti”: l’inverno e l’estate.
Sarebbe bello, proprio a partire da quest’anno, che “l’Addormentata” primavera si destasse dal lungo sonno che ce la tiene lontana ormai da molti anni per farci riscoprire i suoi tratti più affascinanti e poetici che hanno formato gli anni belli della nostra fanciullezza.
Come non ricordare lo stuolo di rondini che gareggiavano da un palazzo all’altro e che facevano le uova nei mascheroni degli antichi palazzi del Borgo Antico di Taranto e, con il loro garrire, anche se dal suono certamente non melodico, finiva per infondere nel nostro animo tanta gioia perché era come la colonna sonora che dava annuncio al mondo di madama primavera.
Vero è che “una rondine non fa primavera” ma qui stiamo parlando di voli di rondini che sembravano inseguirsi fra di loro dando anche all’esterno il segno inequivocabile che qualcosa stava mutando. I prati e i campi, anche oggi come ieri, si vestono a festa con il colore del verde dell’erba e con quelli caleidoscopici di fiori che formano la gioia per la vista e che con il loro profumo creano una atmosfera quasi magica.
Peccato, però, che oggi occorre fare molta attenzione nel raccogliere un fiore da campo perché, a differenza di ieri, racchiude insidie dovute all’inquinamento del suolo atmosferico. Poveri fiori, anche loro devono sottostare alla dura legge dell’inquinamento prodotto dall’incuria dell’uomo.
Ancora oggi, davanti a un mazzolino di violette, provo tanta emozione pensando ai tempi in cui anche noi bambini, specialmente di domenica, rendevamo più attraente le nostre pettinate con qualche fiorellino che ci faceva sentire reginette del momento.
Si sa che in natura i primi due alberi che fioriscono, cioè si svegliano dal letargo invernale, sono il mandorlo e il pesco, ma non è da meno quello della mimosa. Guardare questi alberi significa ancora oggi volare col pensiero all’atmosfera pasquale quando si dava anche ad un ramoscello di mandorlo o di pesco un significato beneaugurante di resurrezione, intesa come risveglio dal letargo invernale.
Oggi è difficile poter programmare in primavera le prime gite fuori porta perché bisogna fare, purtroppo, i conti con le bizzarrie del tempo che possono farci piombare all’improvviso nel più freddo inverno.
A tale proposito i nostri saggi padri dicevano nel colorito dialetto tarantino che “quando marzo vuole fa saltare l‘unghia al bue” col voler indicare che il bue, pur avendo un’unghia forte, se la vedeva saltare sotto l’azione energica dell’inverno, senza dimenticare il detto più popolare che recita “marzo pazzerello, guarda il sole e prendi l’ombrello”.
Non da meno la proverbistica esprime un parere negativo per quanto riguarda il mese di aprile, infatti i tarantini dicevano che bisognava mettere da parte la legna ad aprile, come da loro appreso dai “saggi” dominatori spagnoli.
Le nuove tecnologie, spinte anche dal bisogno di voler accelerare i ritmi naturali della crescita di una pianta o di un albero da frutta, hanno fatto sì che anche i tipici frutti primaverili venissero anticipati di qualche mese. Forse non è vero che mangiamo le fragole da oltre un mese e che in questi giorni sulle bancarelle dei mercati ortofrutticoli stanno facendo capolino le prime fave novelle e i piselli? Eppure durante la nostra infanzia dovevamo aspettare proprio il giorno di Pasqua per poter mangiare le prime tenerissime fave che unite alla prima squisita ricotta prodotta dal bestiame che aveva brucato la prima erba verde, faceva la gioia della mensa nel giorno in cui la Chiesa celebrava la Resurrezione di Cristo.
Anche il mare oggi sembra essersi adeguato e quasi rassegnato all’idea di non dover più fornire i pesci tipici della stagione primaverile. Tutto questo accade perché ci sono gli allevamenti in vasca e, quando questi mancano, vengono sostituiti dal pesce congelato.
Che fine hanno fatto i profumi che si sprigionavano quando si arrostiva il buon pesce azzurro e i frutti di mare erano i re delle mense dei tarantini? Oggi dobbiamo necessariamente far ricorso all’importazione anche dai paesi asiatici perché i nostri mari soffrono le insidie dell’inquinamento.
Anche la moda ha subito un colpo non indifferente perché era prassi consolidata sfoggiare il primo tailleur in concomitanza con l’arrivo della Pasqua, quando le belle ragazze tarantine facevano lo “struscio” in via D’Aquino sotto gli occhi attenti e innamorati dei soldati di leva.
Anche il cuore, inteso come fucìna di sentimenti semplici, veri e spumeggianti, soffre del ritardo o dell’assenza della primavera perché è vero che la bella stagione sembra cancellare dal cuore i cattivi pensieri, le negatività per aprirsi alla speranza, ai primi bagliori, ai primi tepori del sole marzolino.
Forse anche per questo che l’estro poetico dell’uomo ha quasi dimenticato di tessere gli elogi della primavera. Si salvano soltanto alcuni cantautori moderni che l’hanno dipinta a tinte fantasmagoriche sia nel testo letterario che nelle note musicali.
Vogliamo chiedere alla primavera targata 2015 di farci riprendere il gusto di sognare e di vivere quella felicità smarrita che tanto bene faceva a ogni uomo, ricco o povero?
Buona primavera a tutti, nel segno di un rinnovamento di cui la nostra società ne avverte il bisogno.
E che bisogno!