Non sono bastati trentadue anni per mettere fine alla storia che vede protagonista un martinese che, nel breve volgere di una notte, passò dalla realizzazione di un sogno, un tredici miliardario, al concretizzarsi di un lungo, lunghissimo incubo
Chi di noi non ha mai avuto a che fare con i numeri; quante volte abbiamo legato a uno di essi un significato, una ricordo, un concatenarsi di eventi. Ci sono numeri che nella vita ricorrono più di altri, e li facciamo nostri indicandoli come fortunati o sfortunati a seconda dei casi in cui questi si presentano. Alchimisti, cabalisti, giocatori incalliti del lotto nazionale o semplici scaramantici cercano di trarre spunto ora da questo ora da quell’accadimento per avvalorare le proprie tesi o più semplicemente per cercare di fare fortuna con un piccolo investimento iniziale. La storia di Martino Scialpi, commerciante ambulante martinese, è quella di un 13 al Totocalcio (da 1.003.092.000 delle vecchie lire) realizzato al concorso numero 11 del 1/11/1981 e negato ufficialmente dal CONI con una comunicazione dell’11/11 dello stesso anno. Nella Smorfia il numero 11 rappresenta ‘e suricille (i topolini) che, per uno scherzo del destino, pare abbiano rosicchiato e portato via la fortuna rappresentata dal 13. Secondo alcuni invece: “Quando è presente il numero 11, c’è sempre qualcosa da nascondere, qualcosa che nasce da combinazioni losche create da molti individui”. E ancora: “Le persone che ci sono vicine usciranno sempre danneggiate dell’influenza di questo numero”. In sintesi, sembra proprio quando accaduto a Martino Scialpi che in questi trent’anni, prove alla mano, è stato vittima di “losche combinazioni” che gli hanno negato la soddisfazione della vincita.
I fatti
Siamo nel 1981 e giovedì 29 ottobre Martino Scialpi gioca a Ginosa una schedina da due colonne; come la stragrande maggioranza degli italiani, cerca di raggiungere il massimo risultato con il minimo investimento. In fondo chi come lui si alzava presto tutte le mattine, spostandosi nelle piazze della zona per cercare di “sbarcare il lunario”, non poteva “scialare” grosse cifre in giocate. Domenica 1 novembre alle 14,30, le squadre scendono in campo per disputare la settima giornata di andata di serie A mentre la B è già all’ottava. La Juventus di Giovanni Trappatoni, reduce da sei vittorie consecutive, affronta in casa la Roma di Nils Liedholm e anche se data per favorita, ci lascia le penne grazie a un goal al 49’ di Falcao. Lo stesso turno registra il pari a reti inviolate tra Napoli e Avellino (0-0 al San Paolo) e la sonora batosta rimediata dal neo promosso Milan che rimedia tre goal dal Catanzaro. In serie B invece sono le vittorie esterne di Perugia e Catania, rispettivamente ai danni di Palermo e Lazio, a destare il maggiore interesse. Così con questi risultati incolonnati insieme agli atri di più facile previsione, alle 16.30 di quella domenica Martino Scialpi si ritrova in mano la schedina giocata e vidimata con il n. 625SA77494 che valeva oltre un miliardo di lire.
La schedina
Non sappiamo cosa gli sarà passato per la testa in quelle ore, ma di sicuro tutto poteva immaginare tranne quello che gli sarebbe accaduto nei trent’anni a venire. Il suo calvario inizia pochi giorni dopo quando, consultando la pubblicazione ufficiale dei dati riguardanti le matrici vincenti, riscontrò che gli estremi della scheda da lui giocata non figuravano nell’elenco dei vincitori. Il 5 di novembre inoltrò reclamo alla Zona Totocalcio di Bari che, sei giorni, dopo rispondeva non accogliendo il reclamo con questa motivazione: “Matrice non rinvenuta nell’archivio corazzato”, ovvero alla sede di Bari del Totocalcio non trovano la matrice della schedina giocata alla ricevitoria di Ginosa da Martino Scialpi. Al Totocalcio hanno fretta e contravvenendo all’art. 14 del “Regolamento dei concorsi pronostici” liquidano subito gli altri 13 totalizzati nella settimana (quattro per la precisione), escludendo a priori quello reclamato da Scialpi. A supporto della motivazione che nega la vincita, il CONI esibisce la relazione “per bollini mancanti” redatta dalla titolare della ricevitoria dove era stata giocata la schedina.
Inizia il calvario
E qui la matassa comincia a ingarbugliarsi vorticosamente. Le relazioni “per bollini mancanti” sono due ed entrambe riportanti la data del 7 novembre; la prima, provvista di timbro di ricevimento da parte del Totocalcio, attribuisce lo smarrimento della matrice “alla caduta accidentale del blocchetto contenente la schedina con il conseguente inspiegabile e increscioso accaduto (leggi smarrimento)” la seconda, priva di timbro di ricevimento, invece giustifica l’accaduto con una sottrazione “dovuta ad opera di terzi”. Così, in base a questa seconda relazione, la Procura della Repubblica di Taranto imputava Martino Scialpi “per essersi con destrezza impossessato del bollino n. 625SA77494, sottraendolo dalla ricevitoria …utilizzandolo poi per convalidare una schedina compilata a risultati già noti delle partite di calcio, nel tentativo di frodare il Totocalcio”. Solo nel febbraio del 1987, Scialpi veniva assolto con la formula più ampia “perché il fatto non sussiste per tutti i reati ascrittigli” e il Tribunale gli restituiva la schedina oggetto della contestazione che, in mancanza di appello, diveniva a ogni effetto di legge, maggiormente un titolo idoneo alla riscossione della vincita. Che quella seconda relazione “per bollini mancanti” fosse non proprio regolare lo confermano due atti importanti che si verificano nel tempo: il primo è una perizia giurata dove veniva esclusa la simultaneità esecutiva delle due relazioni (cioè erano state redatte in tempi diversi); la seconda è una dichiarazione resa a maggio del 1995 dalla titolare della ricevitoria alle Autorità Giudiziarie”, con la quale afferma che il contenuto dell’ultima dichiarazione “di sottrazione ad opera di terzi” le era stato suggerito da due funzionari del Totocalcio di Bari.
La ricevitoria non autorizzata
Il comportamento ambiguo della titolare della ricevitoria, potrebbe essere attribuito alla paura di perdere l’autorizzazione del CONI che, così come risulterà successivamente dagli atti, venne rilasciata in data successiva al 1 novembre 1981. Questo significa che quando fu giocata la schedina vincente, la ricevitoria era fornita di tutto l’occorrente per le giocate, tranne che dell’elemento più importante: l’autorizzazione. Che le cose non quadravano lo ammette implicitamente l’avv. Leonardo Zauli, il capo del Servizio degli Affari Giuridici del CONI, che in una missiva inviata il 18 gennaio 1988 al servizio centrale del Totocalcio precisava: “la posizione del Totocalcio appare molto delicata in relazione ai provvedimenti con cui fu concessa la ricevitoria alla sig.ra…”. La mancanza del rilascio di autorizzazione significava per il CONI, ente gestore del concorso, l’assunzione della responsabilità extracontrattuale con tutte le conseguenze del caso come, per esempio, la corresponsabilità nell’eventuale smarrimento della matrice della schedina vincente e il conseguente pagamento della vincita. Passa il tempo, per l’esattezza diciotto anni, e con l’emergere di una serie di nuovi elementi che vedono implicati nella vicenda anche Mario Pescante e Raffaele Pagnozzi, Martino Scialpi, certo della irregolare concessione da parte del CONI alla ricevitoria ginosina, inoltrava denuncia alla Procura della Repubblica di Taranto che indagava due funzionari della sede Totocalcio di Bari. A quel punto, il GIP del Tribunale di Bari disponeva l’espletamento dell’incidente probatorio con perizia grafologica e merceologica tesa a verificare l’autenticità e la data di formazione di una serie di documenti relativi all’autorizzazione rilasciata dal CONI, in data 05/08/1981, alla titolare della ricevitoria.
Documenti falsi
L’esito delle perizie è a dir poco sconcertante: “i documenti oggetto di accertamento peritale erano stati redatti in un tempo più prossimo al 1991-1997 che al 1982 e quindi necessariamente non compatibili con una data da far risalire all’agosto 1981”. Così la vicenda continua a popolarsi di documenti falsi con tanto di falsi “estensori” solo che nessuno di questi, tutti a libro paga del CONI, viene perseguito penalmente. La vicenda è stata anche oggetto di diverse interrogazioni parlamentari, (il compianto senatore Vito Consoli, negli onorevoli Ludovico Vico e Vittorio Angelici tra i firmatari), alcune delle quali in attesa di risposta. Ma a documenti falsi che compaiono, corrispondono documenti veri che spariscono (forse ad opera dei suricille). Per la precisione, presso il Tribunale di Taranto non sono stati, a tutt’oggi, rinvenuti i fascicoli relativi a nove tra processi ed esposti intentanti negli anni, nei confronti di Mario Pescante, Presidente del CONI fino a poche settimane fa, e di una serie di funzionari dello stesso Ente a vario titolo coinvolti. Così la storia, tra documenti fasulli, false testimonianze, omissioni a vario titolo e altri “eventi” negativi tutti a danno di Martino Scialpi, arriva al 9 febbraio dello scorso anno quando il G.U. Alfredo Matteo Sacco, ritenendo sussistere il presupposto per la concessione della provvisoria esecuzione del provvedimento, concedeva una provvisionale di 2.342.000,00 oltre accessori. Purtroppo per Scialpi però, il dott. Matteo Sacco veniva sostituito al momento del deposito provvedimento che veniva impugnato e successivamente, il 14 marzo 2012, veniva revocato. Ma Martino Scialpi non si arrende e continua la sua battaglia insieme al suo nuovo legale, l’avv. Guglielmo Boccia. Chissà quanto tempo servirà ancora per vedere scorrere i titoli di coda su questa vicenda che assume sempre di più i caratteri di una spy-story. Gli elementi ci sono tutti: la vittima (Martino Scialpi) e gli autori di vari reati ma che mai hanno pagato per quanto commesso (funzionari dirigenti e avvocati del Totocalcio). Da ricordare anche che tutti i procedimenti fin qui svolti, hanno visto impegnati avvocati, periti e professionisti a vario genere. Le parcelle a suo carico, Martino Scialpi le ha liquidate con il denaro proveniente dal suo onesto lavoro di commerciante ambulante, sottraendolo ai suoi bisogni e alla sua famiglia; quelle a carico del CONI sono state liquidate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, cioè dalla Stato, cioè dagli italiani.
Il dubbio
Un’ultima annotazione: tutto nasce da una schedina giocata in una ricevitoria di Ginosa che, dopo una serie di accertamenti, risulterà priva di ogni sorta di autorizzazione. Sembra che questo non fosse l’unico caso in Italia, anzi. Allora una domanda nasce spontanea: come venivano contabilizzate dal CONI le entrate delle ricevitorie non autorizzate, se queste esistevano solo “virtualmente”?